3 GIUGNO, PIAZZA SAN CARLO, TORINO
Il 3 giugno a Cardiff – come ben sappiamo – la Juventus ha perso l’ennesima finale di Champions League della sua storia. Il risultato di quella partita è noto a tutti, non si riesce però a dare una spiegazione a ciò che è accaduto qualche chilometro più in là, precisamente in Piazza San Carlo a Torino. Dal servizio de Le Iene del 24 ottobre, emerge come i sistemi di sicurezza si siano rivelati del tutto inefficaci. Scarsi controlli, presenza di venditori ambulanti, due sole zone d’accesso per 30 mila persone: ecco alcuni elementi che hanno contribuito a rendere ancor più drammatica quella notte.
LA VENDITA DEGLI AMBULANTI
Nel servizio de Le Iene, grazie alla testimonianza di Alessia, Francesco, Gaia e Miriam, viene mostrato come gli ambulanti organizzarono il loro lavoro. Grazie ad un garage pieno zeppo di furgoni con all’interno migliaia di birre, era loro consentito di vendere birre senza alcun controllo. Nessuno però si sarebbe immaginato che Piazza San Carlo diventasse un vero e proprio tappeto di vetro.
Fabio, il fidanzato di Erika – rimasta vittima in quegli attimi tragici – racconta di essersi spostato durante l’intervallo sotto i portici della piazza, in un posto almeno apparentemente più tranquillo.
L’INIZIO DELLA FINE
Gaia, testimone di quella sera, racconta poi quei tragici momenti. “Erano le 22.10 e abbiamo sentito un boato fortissimo. In tre secondi tutta quella folla ha iniziato a corrermi addosso”. In quel momento ognuno inizia a scappare, inizia a gridare, scatta l’allarme terrorismo: si teme di finire uccisi dall’esplosione di una bomba o dalle ruote di un camion. Tutti i testimoni raccontano nel servizio de Le Iene come avessero visto la morte in faccia: alcuni hanno trovato la forza per reagire, altri no. Si crea una fortissima pressione verso l’esterno, le uscite ai lati però non sono sufficienti per far rifluire la massa: altre persone allora vengono schiacciate. Cade una transenna, un nuovo boato investe la piazza: una nuova ondata di panico si spande a macchia d’olio.
Il rumore che nessuno dei presenti potrà mai dimenticare è quello dei cocci di vetro calpestati. C’è chi perde le scarpe, ma in quel tappeto di vetro è impossibile muovere un passo a piedi nudi.
A rimetterci più di tutti è Erika, che dopo due settimane di coma perde la sua partita più importante.
QUALI SONO STATI GLI ERRORI PIù GRANDI?
Per porre fine a questi dubbi che ci portiamo dietro da oltre quattro mesi, gli inviati de Le Iene hanno chiesto un parere a Maurizio Salvadori, organizzatore di eventi in vasta scala. “Leggere che c’erano centinaia e migliaia di bottiglie di vetro è una tragedia. Scivoli, cadi, ti tagli, entra in gioco il panico generale. Tolto il vetro non si risolve il problema, ma sicuramente non ci saranno stati 1500 feriti. In Italia c’è una legge sull’affollamento che consente la presenza di due persone a metro quadro. Da questi non mi sembra che sembra sia stata rispettata la norma. Teoricamente metà della piazza doveva essere vuota. Ci sono state evidentemente delle carenze organizzative. Gli addetti della sicurezza dovevano essere almeno 250/300 (e invece racconta un testimone come siano state solo una ventina ad organizzarsi della sicurezza). Devono esserci dei filtri agli ingressi e delle volanti che girano tra il pubblico per risolvere eventuali problemi. La colpa è dell’organizzatore, la polizia è da supporto all’organizzatore”. Continua un altro testimone: “L’errore più grande è stato organizzare l’evento in 5 giorni“. In effetti, l’evento viene autorizzato solo il 27 maggio.
CHI RISARCIRA’?
Quando l’inviato de Le Iene si reca all’ufficio turistico di Torino, trova ogni tipo di opposizione degli impiegati presenti. Al coro si aggiunge poi anche il dirigente del turismo torinese, che caccia brutalmente fuori dall’ufficio i membri dell’equipe. “Per favore, per favore. Non possiamo lasciare dichiarazioni. C’è in corso un indagine”: queste le frasi pronunciate dai dipendenti dell’ufficio, che alla fine riescono ad avere l’ultima parola.
Anche Chiara Appendino dribbla come se fosse Dybala le domande che le vengono poste. “Consegneremo la verità ai torinesi”, rassicura il sindaco di Torino.
In ospedale si trova Marisa, che in quel momento passava per puro caso da lì. “In un attimo mi sono sentita tutta la gente venirmi addosso. Ho cercato di resistere, e invece ho poi detto a mio marito che mi sarei lasciata morire. Poi non ricordo più nulla”, dice la donna con un filo di voce. “Non so quando mi sono risvegliata, è stato terribile perché non riuscivo a respirare. Mi dicevano di muovere le dita, poi non ho più sentito nemmeno le gambe”. Lì Marisa ha capito a cosa era stata condannata: passare il resto della sua vita paralizzata dal collo in giù. “Trovo forza nella mia famiglia, desidero soltanto accarezzare loro in questo momento“. Per aiutare la madre, i figli di Marisa hanno creato una pagina Facebook “Aiutiamo Marisa Amato”. Continua Marisa: “Voglio una vita dignitosa, mi batterò per quello. Farò tutto il possibile: non mi arrendo”.