Allegri ritrova la sua Juve, tra certezze e novità: cosa ci lascia il match con il Cagliari

Avanti, senza tanta arroganza. Prima della prestazione, prima del risultato, alla vigilia di Juve-Cagliari Massimiliano Allegri aveva chiesto solo questo: ritornare la squadra di una volta, stretta e compatta in campo, gruppo coeso e solido fuori. Dopo la scoppola in supercoppa con la Lazio, una strigliata era quantomeno necessaria per un gruppo che può, deve, fare di più. Con la solita calma, step by step, partendo prima di tutto dai limiti caratteriali che ciclicamente riaffiorano. E, poi, lavorando sul campo per aggiustare, montare anche, certi meccanismi tattici.

Per riuscire nella sua missione da Líder Máximo, Allegri si affida alla vecchia guarda. A chi sa già cosa significa stare in apnea e tornare a galla. Solo con le proprie forze, prima mentali e poi tecniche. Ecco perché nell’undici iniziale non trova spazio Douglas Costa, accreditato dai più come rimpiazzo sulla destra di Cuadrado. Il mister, nonostante le immense qualità del brasiliano, l’ha pensata in maniera diversa: è un momento difficile, delicato, spazio a chi ha sofferto e vinto con me in passato. Cicatrici che restano, rendendoti più forte.

L’esito finale parla chiaro: 3-0 secco. Attacco infiammato, difesa blindata. Ma di questi tempi – nel calcio d’agosto – un risultato vale quel che vale: sia nelle sconfitte che nelle vittorie, appunto. Condizione troppo approssimativa, a causa della quale è impossibile raggiungere un certo grado di perfezione. A fare la differenza sono anche la fortuna e gli episodi. Oppure la bravura, la giocata del campione. Come quella di Buffon che, a metà del primo tempo, para a Farias il rigore che avrebbe potuto cambiare la partita. Quando le gambe non girano al massimo non funziona neanche la testa: immancabili, infatti, i soliti cali di concentrazione.

LA 10 HA IL SUO PADRONE

La classe, invece, non la puoi nascondere mai. La superiorità tecnica con il Cagliari è evidente, al netto di qualche narcisismo di troppo. La manovra, a tratti, è avvolgente, trascinata dalla maestria di Pjanic e Dybala. I due fantasisti bianconeri si cercano, si trovano e, proprio dal loro asse, nasce la rete del raddoppio: un no look del bosniaco per la ‘Joya’ che ha dato una strana sensazione di già visto. Con Pirlo, genio per eccellenza, magari. A spiccare su tutti è però Dybala. La sensazione è che la numero 10 lo abbia motivato ulteriormente, responsabilizzato più del dovuto. E non è retorica. L’argentino è in forma smagliante: si fa trovare con costanza tra le linee, raccordo principale tra centrocampo e attacco. La sua zona, ormai: lì crea, inventa e segna. Difficile chiedere di meglio.

COSA CAMBIA CON MATUIDI

Annotazioni di natura tattica possono essere fatte con l’ingresso di Matuidi. Buttato nella mischia nel secondo tempo, a soli due giorni dal suo arrivo a Torino. L’ex Paris Saint-Germain fa capire che questa Juventus potrà contare su diverse opzioni: il 4-3-3, ad esempio. Il francese si dispone sul lato sinistro, a metà tra centrocampo e attacco. Il numero 14 e Mandzukic si alternano nell’uscita del pressing, la stessa cosa accade a destra con Khedira e Douglas Costa, subentrati entrambi nella ripresa. Un doppio scudo che, certamente, assicurerà ad Allegri più equilibrio. Garanzie, soprattutto. Matuidi c’è e ci sarà, portando con lui una nuova veste tattica per la ‘Vecchia Signora’.

 

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