Non vinci mai, se tu la squadra non ce l’hai

Alla domanda rivoltagli sull’incidenza di un allenatore nel successo di una squadra, Marcello Lippi non andava oltre il 20%. Analogamente, Fabio Capello più volte ha dato questo limite come massimo, tenedosi stretto spesso e volentieri. Diciamo che tra il 15 ed il 20 %, c’è l’intorno dentro cui un tecnico di calcio si può muovere per dare il suo contributo alla “causa”.

Dato per acclarato questo presupposto (ricordo che per accezione filosofica, il presupposto è indimostrabile, dunque non stiamo a perdere tempo nello stabilire se è giusto o sbagliato!), resta da sondare in che misura l’allenatore sia in grado di riprodurre i risultati conseguiti in funzione del variare del valore dei giocatori a disposizione. E qui casca l’asino.

E’ della scorsa settimana l’eliminazione del Manchester City di Guardiola inferta da un Monaco spettacolare, fatto di giovani e giovanissimi messi in campo da manuale da Leonardo Jardim, tecnico portoghese il cui palmares è ridotto, come direbbe un suo connazionale assai famoso, a “zeru tutuli”.

Eppure Pep Guardiola ha una sfilza di vittorie lunghe da qui a Barcellona. Già, “Barçelòna” e riecheggiano le voci di Freddy Mercury e Monserrat Caballè. Fuori dalla Catalogna, l’allievo di Mazzone (auguri, maestro) ha collezionato tre eliminazioni in Champions in semifinale e con quel Bayern che Jupp Heynckes aveva portato alla vittoria solo l’anno prima. Con gli stessi giocatori. Crisi di astinenza da Iniesta, Messi, Busquet, Sanchez, Suarez e blaugrana simili?

Barcellona o cara, canterebbe Luis Enrique se fosse un tenore che tiene tra le braccia una giunonica soprano incredibilmente in procinto di morire di tisi. Il tecnico della Roma, scappato dalla Capitale per disperzione, di notte come un ladro e con un senso di liberazione come chi si toglie un macigno dallo stomaco, approda tra le Ramblas giusto in tempo per vincere una Champions League in faccia alla Juventus, la stessa da cui prendeva scoppole in giallorosso. Viene la tentazione di pensare che i succitati blaugrana con l’aggiunta di Neymar, siano un pelino più performanti della Magica. Solo un pelino, eh! Domanda: Luis Enrique è ancora in lizza per meriti suoi o per un suicidio tattico di 11 “bohemiens” alla Maurice Chevalier?

Ora,  ben lungi dal pensare che Guardiola sia diventato un “imbecille terminale” (cit. Maletto), ma che sia “giocatori dipendente” ed anche un pizzico “cuor di criceto” (cit. Maletto, bis), il dubbio n’assale. Come pure per Luis Enrique, a percorso invertito.

Insomma, in una nota rivista si apostrofava la soubrette protagonista con un “Dove vai, se la banana non ce l’hai?”. Beh, mutatis mutandis si può intonare un “Non vinci mai, se tu la squadra non ce l’hai”. Sorvoliamo su dove si potrebbero collocare le banane, a seconda che si tratti di soubrettes o di allenatori.

Il calcio è quella cosa che puoi essere l’emanazione del dio Ftah in terra, ma se hai in formazione delle “pippe” non vai da nessuna parte. Klopp compreso, autore di una debacle di fronte alla Juve di Allegri (toh, davvero?), nonchè posizionato in classifica al pari di Pioli, in un campionato inglese mediocre tanto quanto il nostro, forse di più.

Ad usum delphini: nell’ipotesi, Dio ne scampi e liberi, di saluti di Allegri (prima che a qualche fenomeno vengano in mente idee balzane: pure lui Ibra dipendente, Tevez dipendente, Mandzukic dipendente, ma con la grande dote di continuità di risultati con squadre cambiate ogni anno per almeno 5 undicesimi, provate!), meglio di lui c’è solo Carletto. Non Mazzone (auguri!), ma Ancelotti. A Monaco di Baviera stanno ridendo come all’Oktober Fest. E poi se anche fosse, quanti dovrebbero chiedergli scusa per averlo accostato frettolosamente all’animale più bistrattato e più benemerito dell’Umanità?

Immagini tratte da  skysports.com   e   thesun.co.uk

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