La J unisce, la J divide. E’ successo e sta succedendo ancora in queste ore, dopo la presentazione avvenuta a Milano del nuovo logo della Juventus. Una scelta innovativa e coraggiosa quella della società di C.so Galileo Ferraris, certamente, che però non convince fino in fondo.
QUALCOSA IN PIU’ DI UNA J
Innanzitutto la pochezza. Premesso che la questione può conoscere spiagge prettamente soggettive a seconda dei gusti personali, il logo appare troppo spoglio, troppo semplice, povero alla vista e di conseguenza alle emozioni. Non basta una consonante a raccontare tutto o un mezzo enigmatico scudetto. La Juventus è qualcosa in più di una J, che naturalmente rappresenta la prima lettera che ne compone il nome e certamente quella più indicativa.
La Juventus è anche Torino dal 1897, e Torino è (anche) la Juventus. Il toro è l’animale simbolo della città da cui tutto è cominciato, e di quella panchina di C.so Re Umberto dove alcuni giovani ragazzi del Liceo Classico Massimo D’Azeglio diedero i natali al mito. E’ da quella panchina che nacque il rosa (poi divenuto bianconero), con cui venne rivestito il primo Tricolore conquistato nel 1905. E’ per merito di una semplice panchina che Corso Re Umberto entrò di diritto nella storia della città di Torino, e quest’ultima nel cuore di tutti i bianconeri lontani dal capoluogo piemontese. Torino appartiene al dna bianconero, e un logo senza dna non possiede un’anima.
Già, l’anima. Al di là della retorica e dei sentimentalismi, il nuovo logo della Juventus non identifica, ma “iconizza”. Riduce, poiché tutto è ridotto ad un input, un lancio: ma anche nell’immagine fissa di un logo si potrebbe fare di più: vedere un film a due tinte. Potrà dunque far pensare alla Juventus quella J, in qualunque forma o colore venga riprodotta (figuriamoci in bianco e nero), ma da sola tralascia il passato, la genesi. E i natali, specie quelli di una società forte e blasonata come la Juve, che invece dovrebbero splendere orgogliosi al centro di un progetto che ricorda cosa c’è stato prima, senza rinunciare a raccontare come si evolverà in futuro.
VECCHI MA AMMIRATI
L’Italia è un Paese di vecchi, è forse vero, sotto tanti aspetti. Ma è lo stesso Paese che vanta ancora oggi il più grande patrimonio artistico e culturale del pianeta, figlio di una posizione geografica che le ha consentito di trovarsi sempre al centro dei commerci, delle innovazioni scientifiche e tecnologiche introdotte nel passato. E’ stata la terra del Risorgimento (di cui fra i protagonisti figura proprio il torinese Camillo Benso, conte di Cavour): la meta finale di pittori, musicisti, scultori, scrittori, filosofi. E che oggi vanta con estremo orgoglio tali privilegi concessi dall’evoluzione.
Privilegi marchiati a fuoco nei cuori degli italiani. Allo stesso modo Torino ha marchiato per sempre i colori bianconeri, e cancellarla dalla prima immagine che rappresenta la Juventus ha rappresentato francamente un atto inutile, non necessario, per di più irrispettoso nei confronti di un passato glorioso. Un passato verso cui si ha il dovere di riconoscere il tributo che merita. Anche simbolicamente, affinché qualche curioso o tifoso del futuro indaghi senza limitarsi a J=Juventus, come fosse un’equazione.
IL SIMBOLO DEI NUOVI MERCATI?
Si dirà – e già si dice – che le innovazioni agevoleranno i mercati, portando ad un incremento dei fatturati in merito alle conquiste di fette importanti messe a disposizione dall’estremo Oriente o dagli Stati Uniti, ecco perché è d’obbligo arrivare per primi sui cambiamenti. Si, ma quali? La Juventus è una società che già da anni ha fatto terra bruciata tra i confini nazionali in termini di innovazione e sguardo al futuro, avvicinando sempre più i modelli europei.
I bianconeri sono risorti dal buio di due settimi posti – che di fatto hanno chiuso un’epoca – attraverso investimenti economici importanti che hanno visto nascere il nuovo stadio di proprietà e il J Medical Center, e che hanno garantito la continuità al primo successo targato Conte con l’innalzamento del tasso tecnico della rosa. La Juventus è inoltre attenta al linguaggio mediatico ed a quello del web, sempre più centrale sotto la lente comunicativa.
Pronosticando dunque un’ovvietà, e cioè che soltanto il tempo dirà se la Juve avrà compiuto una scelta vincente o in verità poco “mainstream”, la convinzione rimane salda: mai dimenticare da cosa si parte (il calcio), e vincere è l’unica cosa che conta. Anche per dare maggiore forza ad un logo che già c’era, e che magari non avrebbe necessitato altro che un restyling e, soprattutto, ritrovate vittorie internazionali. Il calcio non conosce sviluppi e modernizzazioni senza vittorie, ed è difficile credere che queste possano arrivare in futuro grazie ad un logo. Si rischierebbe di sminuire quanto di più concreto è stato fatto in precedenza per rimettere in moto la macchina Juve post-Calciopoli.
Rocco Crea (Twitter @Rocco_Crea)
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