Tutti avrete sentito parlare, almeno una volta nella vostra vita da calciofili, del famigerato stile Juventus. Compostezza, disciplina (quasi tedesca), eleganza, intelligenza, innovazione, organizzazione, caparbietà, professionalità: tutte qualità che si possono trovare solamente all’interno di un mondo maturo e vincente come quello bianconero. Ma dove affonda le radici questo way of living?
LA FAMIGLIA AGNELLI: ALLA BASE DELLO STILE JUVENTUS
Ogni juventino che si rispetti deve sapere che se la Juventus è diventata quello che oggi è, gran parte del merito si deve al sodalizio sbocciato nel 1923 (il più antico e duraturo nella storia del calcio nostrano) tra la società torinese e la famiglia Agnelli, storica proprietaria della prima azienda automobilistica italiana, la FIAT.
Il primo esponente della famiglia ad entrare nel mondo calcistico fu Edoardo, a cui si deve l’attuale conformazione del calcio professionistico italiano, compresa la scelta di aver reso i calciatori dei lavoratori salariati. Una prima definizione dello stile Juventus si può cercare proprio in questo senso: gli Agnelli avevano dato efficienza e rigore ad una società calcistica, cosa quasi introvabile per l’epoca. La Juventus, già da allora, si era dimostrata un passo avanti. Avete mai sentito parlare di football management? Bene, se oggi tale locuzione è ormai diventata usuale come il caffè al mattino, gran parte del merito va all’innovazione voluta dagli Agnelli.
Fu l’Avvocato (Gianni Agnelli), poi, ad introdurre un esemplare modello di comportamento da tenere in ogni circostanza, per ricordare sempre e comunque di far parte di un mondo diverso, di un mondo all’avanguardia, di un mondo superiore. Dalla semplice uniforme da indossare nelle trasferte al rifiuto di ogni tipo di polemica (primi vagiti di fair play, soprattutto nei confronti delle decisioni arbitrali: è questo il motivo se nessun dirigente bianconero si permetterebbe mai di salvare immagini sul proprio telefonino…), fino ad arrivare all’abilità nell’espressione verbale. Il giornalista Carlo Bergoglio scriveva sul mondo juventino:
«Il “super asso” diventa solo un asso, l’aspirante campione diventa asso; uno cava, l’altro cresce, tutto si livella. L’educazione e naturale riservo fanno il resto: se entri nel Circolo, un tipo in guanti bianchi riceve il tuo cappello, gli stucchi dorati t’impediscono di dir parolaccie. La stretta di mano sulla tetti all’orologio, non una mano sulla spalla. Nessun ordine del giorno, ma l’ordine con l’ora per il domani, firma carcame. Mai niente di nuovo. Un giocatore entra e capisce dov’è, cosa deve imparare, il senso delle distanze, il rispetto, quel formalismo che è pure necessario se tutti gli esserci si sono basati su quello».
Altro aspetto non trascurabile dello stile Juventus è l’attenzione sempre mostrata nei confronti del bel Paese, sia da un punto di vista economico sia per quanto concerne i calciatori in rosa: la società bianconera divenne simbolo, a cavallo degli anni ’60, del cosiddetto “miracolo economico italiano”, ma anche di ideologie ben chiare sugli atleti da acquistare, visto che sempre più juventini venivano convocati nella nazionale maggiore.
UNA VASTA GAMMA DI PRINCIPI DA SEGUIRE QUOTIDIANAMENTE
Fu in quegli anni che iniziò a diffondersi anche il concetto di calciatore operaio, ossia polivalente sul piano tattico e disciplinato nell’eseguire qualsiasi ordine dettato dal mister. Un’ottima sintesi del prototipo di uomo, prim’ancora che giocatore, che si prefiggeva di formare la Juventus. Capite perché un Padoin ha fatto breccia nel cuore più di un qualsiasi veneziano? La metodologia di lavoro degli antichi membri della famiglia Agnelli non è mai andata persa, nemmeno dopo lo scandalo Calciopoli: sotto la guida del nuovo presidente, Andrea, la Juventus ha arricchito il suo palmares con 5 scudetti consecutivi e, soprattutto, si è stabilita tra i primi posti in classifica in termini di fatturato, vista la costruzione del nuovo stadio di proprietà (primo impianto moderno in Italia) e dell’impegno anche nel campo dei nuovi mass media. Ecco, il termine avanguardia deve risuonare più di ogni altro nella testa dei tifosi bianconeri per farli sentire orgogliosi, una volta in più, di tifare questa squadra. Ma definirla solo squadrasarebbe riduttivo: si tratta di un costante modo di vivere, di una serie di princìpi su cui costruire il proprio comportamento nella società.
Alla Juve è sempre piaciuto arrivare prima, in ogni senso. Prima degli altri in classifica, certo, ma anche prima in ordine cronologico, nello scoprire nuove cose: i bianconeri sono un popolo di antesignani per definizione, costantemente ante litteram. Alla Juve conta vincere, sempre e comunque («Vincere non è importante, è l’unica cosa che conta!» diceva Giampiero Boniperti), ma bisogna anche saper vincere: secondo l’antropologo francese Christian Bromberger, occorrevano «semplicità tattica, rigore difensivo e concretezza verso la porta avversaria». E soltanto chi è capace di mettere in pratica tutta l’ideologia alla base dell’essere juventino merita di proseguire in questo percorso a strisce.
Già, la meritocrazia. Un aspetto troppo importante, mai trascurabile dell’intero mos bianconero. Ed è questo il motivo per cui le cosiddette “teste calde” si trovano sempre di fronte ad un bivio quando iniziano a sentire addosso il peso della maglia della Juventus: o decidere di farsi mettere in riga oppure lasciarsi andare ai propri piaceri, precludendosi, però, di fare carriera in una squadra così prestigiosa. Tocca scegliere, un po’ come dovevano fare gli eroi antichi: una vita lunga e tranquilla oppure una corta ma gloriosa? Il filosofo statunitense Ted Richards, nel suo libro Soccer and Philosophy: Beautiful Thoughts on the Beautiful Game, attestò che il modo di fare juventino funziona allo stesso modo di un marchio, gestito attraverso un lungo processo di costruzione e consolidamento. È così che l’ideale di essere juventino (definito da Richards «un impasto fra una naturale eleganza e un portamento sereno») sviluppato dalla famiglia Agnelli (in particolare grazie all’Avvocato, uomo di eccellente garbatezza mista ad un particolare senso ironico con cui riusciva a risollevarsi anche dopo le sconfitte) tramite la distinta condotta pubblica è riuscito a diventare un modello per tutti i propri supporters.
In virtù della gestione aziendale introdotta dalla proprietà, nonché l’eleganza e la serenità espresse dentro e fuori dall’ambiente sportivo da giocatori quali Giampiero Boniperti, John Charles, Dino Zoff, Roberto Bettega, Gaetano Scirea, Alessandro Del Piero e Gigi Buffon, o anche da allenatori come Giovanni Trapattoni e Marcello Lippi e dirigenti tra cui il già citato Boniperti, il temperamento bianconero è diventato una figura estremamente influente e duratura, capace di diventare uno dei simboli associati ad una squadra più estesi e tradizionali nello sport contemporaneo. Gianni Agnelli ripeteva spesso: «Nei momenti difficili di una partita, c’è sempre nel mio subconscio qualcosa a cui mi appello, quella capacità di non arrendersi mai: è per questo che la Juventus vince anche quando meno te l’aspetti.». Può bastare come esemplificazione di quanto detto finora?