Chi lo ha detto che il concetto di “ritorno” vale solo per la moda? Ebbene, se nel mondo delle passerelle è facile subire il fascino delle rievocazioni e delle rivisitazioni figlie delle tendenze passate, anche nel calcio appare possibile (e a questo punto forse inevitabile) fermarsi ed ammirare lo splendore di ciò che è stato, pensando addirittura di rispolverare le emozioni vissute non troppi anni fa.
CHAMPIONS LIVELLATA VERSO IL BASSO – La Uefa ci sta pensando in questi giorni, peraltro a causa di una serie di motivi ben precisi. Innanzitutto quello relativo al prestigio della maggiore competizione per club, la Champions League. Ad oggi, infatti, l’approdo alle sei partite standard della coppa dalle grandi orecchie appare terreno fertile quasi per chiunque, in virtù dell’apertura voluta circa dieci anni fa dal neo eletto Presidente Uefa Michel Platini. Le piccole nazioni godettero dei benefici prodotti dalla politica di Le Roi, incrementando notevolmente il numero della squadre presenti alla fase a gironi della coppa più ambita. E’ indubbio che tale processo innovativo abbia fatto in modo che le possibilità di partecipazione venissero allargate sino ai confini più estremi – calcisticamente e non – dell’Europa, avallando e coccolando la favola che pone i principi di equità al centro di ogni progetto, e favorendo certamente tra i più romantici sogni di (improbabili) scalate da parte di piccole realtà. Dall’insediamento di Platini, invece, cenerentole qualificate alla fase a gruppi come l’Astana (Kazakistan), Apoel Nicosia (Cipro), Hapoel Tel Aviv (Israele), Ludogorec (Bulgaria) o Debrecen (Ungheria), nel corso degli anni non hanno potuto fare altro che limitarsi alla sola presenza, abbassando di fatto la qualità del torneo perlomeno nelle prime fasi. Ciononostante il raggiungimento dei quarti di finale ad opera dell’Apoel nel 2011-2012, risultato peraltro indice di un fattore che, oggi più che mai, pare essere stato più casuale che programmato. E nel futuro le cose non sembrano poter mutare a favore delle nuove realtà che si affacciano al calcio dei ricchi, blasonati e grandi club che governano il calcio europeo del tutto indisturbati dal nuovo che (non) avanza.
FLOP INTROITI – Chi ne risente di tutto ciò non è soltanto il pubblico, che comunque risponde bene in termini di presenze sugli spalti, quanto la capitalizzazione dei diritti tv e delle sponsorizzazioni che la Uefa proprio non riesce a far decollare. Del resto, se si pensa che Champions ed Europa League insieme non raggiungono il fatturato della Premier League (2,3 miliardi di euro a stagione contro 3,2), si capisce facilmente che qualcosa in termini di gestione non quadra come invece dovrebbe. Ad esempio, la finale del torneo garantisce solo 15 milioni di euro in caso di vittoria. Molti penseranno che per una partita secca si tratti comunque di un buon guadagno, tuttavia se sapessero dei 120 milioni circa che l’ultimo atto di Championship può mettere in ballo, probabilmente riformulerebbero il loro giudizio. Un dislivello esagerato dunque, un paradosso senza eguali. Di conseguenza, club come Barcellona, Real Madrid, Bayern Monaco, Psg, Chelsea o Juventus non incassano quanto vorrebbero da una competizione così importante. Da qui nasce l’idea quantomeno stuzzicante denominata Superlega, ovvero la crème de la crème del calcio riunita in un unico torneo. Insomma, un’élite generata dalla necessità di incrementare il profitto e mascherata in qualche modo dalla ricerca di una competitività maggiore sotto il profilo prettamente agonistico. In realtà, costituire un privé esclusivo consentirebbe di ricavare facilmente introiti auspicati da sponsor e diritti tv. In fondo, se l’Nba riesce a capitalizzare il suo marchio con cifre lontane anni luce da quelle garantite dalla Champions, l’élite mondiale del calcio ha tutte le carte in regola quantomeno per avvicinarsi.
STORIA DEL CALCIO – Eppure non è facile distaccarsi dalla Champions come sembra. La Uefa giuridicamente non può opporsi alla creazione di una competizione nuova anche se non riconosciuta, è vero. Tuttavia, sbarcare altrove porterebbe le big d’Europa ad un bivio: restare per declassare l’attuale Champions con conseguente aggiunta di impegni sportivi (ne varrebbe la pena?), oppure abbandonare quella che prima di tutto rappresenta la coppa dei sogni inseguita da ogni calciatore sin dal 1955? La Coppa dei Campioni (dal 1992 Champions League), infatti, si trascina un palmarès di vittorie e di record divenuti la storia del calcio. La storia di questo sport. Dalle 16 vittorie delle squadre spagnole alle 12 con cui inseguono Italia ed Inghilterra. Dalle 11 coppe alzate al cielo dal Real Madrid al record di gol in una sola edizione che appartiene a Cristiano Ronaldo. Dalle 5 vittorie consecutive del trofeo sempre ad opera dei Blancos all’unica squadra che ha vinto più Coppe Campioni che titoli nazionali (Nottingham Forest). E poi il gol più veloce di Makaay, la tripletta in 7 minuti di Gomis, l’imbattibilità durata 853 minuti di Lehmann. Dati, record, numeri ed emozioni che non si possono cancellare o far passare in secondo piano. La storia ed il prestigio sono qui.
RITORNO AL FUTURO – E allora la soluzione sembra proprio quella di fare marcia indietro dopo anni di apertura e innovazione che, in fin dei conti, hanno portato ad un incremento di guadagni lieve e sicuramente mai generoso come invece organizzatori e club si aspettavano. Inoltre, anche il fascino della competizione non ha conosciuto particolari riscontri sotto la guida del riformista Platini. Forse basta meno di quanto sembra, ed occorre che i quattro campionati principali d’Europa (Spagna, Germania, Inghilterra ed Italia) portino in Champions altrettante delle loro compagini ogni anno e senza passare dallo scoglio rappresentato dai preliminari: le prime tre classificate più una quarta per meriti storici in virtù di un elenco ranking Uefa rielaborato in base ai risultati con l’obiettivo di garantire un posto alle grandi, come annunciato da La Gazzetta dello Sport. Inoltre, federazioni medie come Francia, Portogallo o Russia avranno diritto a due posti certi. Via via, a scalare, il resto delle federazioni in base al nuovo punteggio accumulato nel ranking. Una formula nuova quindi, garante di un supporto qualitativo maggiore a scongiurare la materializzazione dell’ipotesi Superlega. Da qui l’auspicio di un incremento anche dal punto di vista finanziario che allontani i grilli alla testa delle corazzate.
QUINTA SQUADRA? MEGLIO LA COPPA DELLE COPPE – Infine un’ipotesi che però va addirittura al di là non soltanto delle concrete possibilità di realizzazione, ma soprattutto della necessità: una quinta squadra in rappresentanza delle quattro federazioni principali, magari a partire dai playoff. Tuttavia, i maggiori serbatoi del calcio europeo non sarebbero in grado di sostenere quel tasso qualitativo sino a tal punto. Al netto della Premier, infatti, in Italia la Juventus vince da cinque anni sbaragliando la concorrenza. Risulterebbe quantomeno difficile, dunque, pensare ad una quinta potenza da Champions in Serie A. Non sembrano messe meglio La Liga e la Bundesliga fra l’altro, dove lo strapotere Bayern segna già in terra teutonica un distacco tecnico sconfortante dal resto delle avversarie, mentre Barcellona e Real Madrid ammettono soltanto la spina nel fianco Atletico. E allora perchè non dare maggiore prestigio anche all’Europa League, riportandola ai fasti della gloriosa Coppa Uefa? Allo stato attuale, l’Europa B per club palesa l’immagine poco lusinghiera e accattivante di un pastone in cui cadetti provenienti da ogni dove si scontrano in un torneo che ogni anno risulta interessante soltanto dalle semifinali. Troppo lungo, troppo corposo. La soluzione, però, non è quella di tagliare fuori compagini effettivamente poco attrezzate e men che meno blasonate dai cieli blu delle notti europee. Il ripristino della Coppa delle Coppe potrebbe, alla base di quanto detto, avere un senso e persino un fascino non indifferente, magari cambiando i canoni di qualificazione che un tempo ammettevano soltanto le squadre vincitrici delle coppe nazionali (idea peraltro molto bella e originale). Del resto questa soluzione farebbe in modo di equilibrare al meglio tre competizioni di livello crescente, al quale peraltro tutte le formazioni partecipanti, probabilmente, eviterebbero di snobbare gli incontri pensando solo al campionato. Insomma, uno spettacolo proporzionato al valore delle rose ma pur sempre spettacolo, perchè alla fin fine ciò che conta sono le belle partite e vincere i trofei, oltre ai guadagni. E quale opzione migliore se non quella di aumentare il numero delle competizioni livellando così i valori tecnici?
Rocco Crea (Twitter @Rocco_Crea)