Programmare e vincere: sono le due parole-chiave della dirigenza della Juventus. Un lungo viaggio, partito nel 2010, che sta portando i bianconeri nell’élite del calcio europeo, con nuovi mezzi: sì ai colpi intelligenti, ai quali ci hanno abituato Marotta e Paratici, ma anche agli investimenti pesanti, come dimostrano Pjanić e Higuaín. Il modello è sempre stato il Bayern Monaco, che gode anche di particolari condizioni culturali ed economiche, ma è sicuramente l’esempio più vicino alla filosofia juventina.
Investimenti su strutture di proprietà, occhio attento al bilancio e gestione tecnica perfetta: è questa la ricetta della Juve. Che non può contare su un paese come la Germania, motore economico dell’Europa, ma sta sfruttando al meglio le risorse a disposizione. L’ancora troppo elevato indebitamento fa da contraltare a un eccezionale aumento dei ricavi: dal 2011 al 2015, sono passati da 153,9 milioni a 323,9 e la società è passata dal dodicesimo posto nella Deloitte Fotball Money League (la classifica dei club con i maggiori ricavi) al decimo. Una differenza positiva netta di 170 milioni di euro, che ha permesso di ridurre la distanza dal Real Madrid – capolista da undici milioni: nello stesso periodo, gli spagnoli hanno visto crescere i propri ricavi per 97,5 milioni.
Se proprio si volesse trovare un difetto, è l’eccessiva dipendenza dai diritti tv, che dipende per buona parte da deficienze strutturali: la Serie A non sa vendersi all’estero, così come la Premier League, e perciò i club non possono che dipendere dai ricavi televisivi. Servirebbe estendere la presenza del campionato nei mercati emergenti: è la strada intrapresa dalla Juve, che grazie ad accordi commerciali, tour e sponsorizzazioni sta cercando di inserirsi nel florido mercato asiatico. Ecco, però: i bianconeri sono lasciati “soli”. A differenza di quanto accade in Inghilterra, per esempio, dove le società possono godere di un intenso lavoro di marketing che parte dall’alto.
È per questo motivo che Andrea Agnelli si propone come riformatore, trovando tanti, troppi ostacoli in Federazione: la volontà di preservare interessi personali, tuttavia, vince ancora sugli interessi collettivi. È più importante mantenere un voto che lavorare per migliorare l’industria calcistica – una delle più importante del Paese. Ma l’importante sforzo economicio dei bianconeri, che hanno acquistato i due migliori calciatori delle rivali, può essere un aiuto fondamentale in questo senso: riattivare un importante circolo di denaro interno può dare una spinta a tutto il movimento.
È qui che torna il modello bavarese: la Juve vuole assicurarsi i migliori talenti del campionato italiano, così come fa il Bayern in Bundesliga. I benefici possono essere molteplici: un giro d’affari notevolmente più elevato, la possibilità di mantenere campioni in Italia e portarne di nuovi, aumentando di fatto la competività – nonostante i bianconeri siano favoriti, nel breve e medio periodo. La condizione necessaria è che le società sappiano investire in modo oculato: all’arrivo di nuovi talenti deve corrispondere una politica di miglioramento delle infrastrutture, dagli stadi ai campi di allenamento alle sedi, finalmente in grado di generare ricavi.
Servono tanti Borussia Dortmund, ossia tante società capaci di investire e bene nello scouting, nel settore giovanile, mantenendosi costantemente in attivo dal punto di vista economico: i gialloneri, per esempio, sono undicesimi nella classifica Deloitte, proprio dietro alla Juve, con 280,6 milioni di ricavi. Aspettare le istituzioni potrebbe solamente ancorare il calcio italiano a un abisso sempre più spettrale, c’è bisogno di spirito imprenditoriale e coraggio: l’Udinese è senza dubbio un esempio virtuoso – vedi il nuovo stadio Friuli. È questa l’unica strada per rinascere e la Juventus – per assurdo – può essere l’alleata perfetta di tutte le altre società.