Heysel e Luzhniki stadi tragicamente gemelli

Il solo pronunciare Heysel evoca nella memoria collettiva del popolo juventino e di coloro che seguono il mondo del calcio, una zona d’ombra sinistra ed inquietante. E’ il dovere automatico di riaprire il cassetto mentale nel quale si è riposta una tragedia mai tanto abbastanza ricordata. E’ altresì rammentare la sommatoria colpevole e criminale di leggerezze, inefficienze, inadempienze e vergognosi menefreghismi che hanno portato, quasi ineluttabilmente, ad uno scempio di vite umane, in un numero ben superiore alle 39 materialmente rilevate. Occore infatti calcolare anche le vite distrutte dei familiari e di coloro che, seppur scampati, hanno dovuto sopportare conseguenze non ben precisate, ma tangibili, nello scorrere dei loro giorni.

Vittime. Che hanno il diritto di essere ricordate, che abbiamo tutti quanti il dovere di commemorare, perchè la  memoria non muoia. A questo compito, oseremmo definire “religioso”, si stanno dedicando da anni “Quelli di via…Filadelfia” ed il loro presidente Beppe Franzo, testimone presente la sera di Bruxelles nello stadio maledetto, con tanti altri della sua associazione. Ora, dopo anni di oblio, anche la società Juventus partecipa con assiduità alle manifestazioni di ricordo del 29 maggio 1985; anche la Città di Torino non si tira indietro, attraverso la Giunta, tramite assessori e consiglieri in prima linea.

Ora si può dare finalmente spazio a testimonianze sempre più precise ed attendibili, come il documento filmato “Per non dimenticare Heysel” a cura di Massimo Tadolini, fondatore di “Nucleo 1985” e girato per ricordare le due vittime di Bassano del Grappa, Mario Ronchi e Amedeo Spolaore.

Per chi non fosse ancora al corrente di che cosa ha rappresentato l’Heysel o volesse voltarsi, in modo spudorato, fingendo di non sapere, è apparsa molto utile ed azzeccata la scritta “+39 RISPETTO” comparsa sulla Mole Antonelliana la sera del 27 maggio scorso. Perchè non si possa più affermare di non sapere.

13335945_1155753911169576_3272357159702032753_nEppure, Heysel non è la prima ed unica sciagura avvenuta in uno stadio. Già nel 1982 nell’allora stadio Lenin di Mosca, ora ribattezzato “stadio Luzhniki”, durante la gara Spartak – Haarlem di Coppa U.E.F.A., la solita  micidiale miscela di disorganizzazione, arroganza delle autorità e mancanza di buon senso provoca una calca tra tifosi che tornano indietro attirati dal boato per una rete segnata a tempo scaduto e l’afflusso forzoso di spettatori spinti ad uscire. L’inferno che ne scaturisce, in un unico stretto cunicolo di uscita causa la morte di 66 tifosi; ma al netto degli accertamenti le vittime, secondo testimonianze dagli ospedali e da persone presenti, toccano il numero di circa 300.

Nessuna notizia in merito è trapelata in occidente fino a non molto tempo fa. Al tempo dei fatti, il regime comunista si è premurato a coprire l’ecatombe allo stadio Lenin e di non fare uscire notizia alcuna. La sera di venerdì alla Sala delle Colonne un sopravvissuto del Luzhniki, Lev Simonov ha dato testimonianza della tragedia moscovita.

Forse anche la non conoscenza di quanto accaduto a Mosca nell’82, ha determinato la lacunosa organizzazione di Bruxelles, tre anni dopo. Sicuramente i dirigenti dell’U.E.F.A. si sono autosollevati, in una sorta di protervo esonero, dalle responsabilità che solo la testarda, costante manifestazione di amore del padre Otello Lorentini, nei confronti del figlio Roberto, caduto nella curva Z mentre da medico prestava soccorso ad un bambino, ha fatto crollare sotto i colpi delle sentenze di tribunali europei.

C’è da sperare che lo Stadio Heysel (divenuto Re Baldovino) e il Luzhniki (ex Lenin) non restino gemellati nella disgrazia, ma che siano luoghi da cui intravvedere oltre i mucchi di macerie un orizzonte di attenzione crescente per la sicurezza delle persone. Senza distinzione di lingua e di colore di sciarpa.

 

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