Era il campionato più bello degli ultimi anni. Lo era davvero. A ottobre aprivi gli occhi e pareva di essere tornato indietro di qualche anno, ai tempi, come era solito dire Conte, “dei settimi posti” bianconeri. Solo calcio champagne. Nessuna svista, nessuna polemica, nessuna ladrata. Solo tante azioni da registrare e mettere in loop, allenatori freschi di nuova panchina equiparati a messia del calcio moderno, l’equilibrio, la bellezza di un campionato da definire in una sola maniera: alla pari. Alzi la mano chi ha sentito parlare di arbitri e sudditanze nei primi mesi di campionato. Difficile. Più semplice ricordare i progetti d’agosto di tante squadre che avevano superato le aspettative, il gioco spumeggiante di certe realtà che ambivano all’Europa come traguardo minimo, le sentenze definitive senza aver fatto i conti con il mese di maggio. Poi l’inverno. La neve bianca e nera scesa lenta e inesorabile sulla serie A. Un manto a tinte zebrate che ha ricoperto tutto, delicatamente, senza lasciare spazio ad altri colori. La Juventus, tornata. E con lei le polemiche che la accompagnano per mano.
IO (NON) MI FIDO DI TE – Il campionato più incredibile dell’ultimo quinquennio si è concluso. Solo matematicamente. Ma da qualche settimana a questa parte non si è sentito parlare d’altro se non di arbitraggi inadatti, di sudditanza, di poca trasparenza. Lo si è visto con lo scoppio del caso Bonucci, con una testata che avrebbe fatto impallidire qualsiasi studioso di fisica (e di fotografia), fino ad arrivare all’inaccettabile squalifica di quel giocatore straordinario da 30 gol in campionato, caduto nel tranello della provocazione (?) e graziato da quello stesso arbitro tanto criticato nel post gara che ha però deciso di alterare nel referto un labiale molto chiaro nei fotogrammi televisivi. Lo si era sentito quando si sentiva commentare come “autogol” la bordata di Simone Zaza nello scontro diretto con il Napoli, nelle parole di un allenatore che per la prima volta su una panchina pesante, si è trovato a giocarsi uno Scudetto cadendo in più di una circostanza in fallo (portiamo l’esempio delle frasi a Mancini, per non focalizzare solo sulla Juve). Un sentimento popolare che probabilmente ha contribuito a distogliere l’attenzione da ciò che più conta. Se stessi. Che ha fatto consumare energie psichiche (e, perché no, fisiche), all’ambiente partenopeo. Ora però, a giochi fatti, se la mancanza di complimenti può essere accettata (siamo abituati a vedere squadre che non si presentano sul palco alla premiazione…), si sta superando il limite con congetture insensate. Paolo Del Genio nei giorni scorsi ha sentenziato: “Trovo veramente falso Buffon. Non mi piace neanche quando va ad abbracciare gli avversari in campo, molti lo elogiano, a me sembra tutto studiato in maniera da condizionare. Se vogliamo dare un titolo a questa mia affermazione è: Io di Buffon non mi fido“.
IL NUMERO UNO – Senza addentrarsi in retorica spiccia, sembra doveroso ricordare al signor Del Genio due frasi del capitano della Nazionale azzurra:
“Alcune volte si pensa. E in alcuni casi si dice che sono meglio due feriti che un morto. Le squadre le partite se la giocano e sarà sempre così, ma ogni tanto qualche conto bisogna anche farlo”.
“L’azione è stata talmente convulsa e veloce che non mi sono accorto se fosse gol o no. E se anche se me ne fossi accorto, non faccio il figo e il bello, e ammetto che non l’avrei detto all’arbitro. Per il processo di beatificazione, più avanti”.
I casi sono ben noti, la certezza matematica di un passaggio del turno e un gol-non gol che ha scritto la storia della Serie A. Insomma. Buffon si è contraddistinto in più circostanze riguardo a sincerità e coerenza. E, spesso e volentieri, è stato aspramente criticato per le parole pronunciate. Sincerità scambiata per antisportività. Onestà intellettuale da non preferire alle classiche frasi di circostanza. Ma c’è chi, dopo un cammino da record, riesce a pronunciare ancora certe frasi. Troviamo quindi davvero di cattivo gusto le parole di un addetto ai lavori che, piuttosto che complimentarsi con l’avversario (o semplicemente ignorarlo vista l’incapacità di elogiare il rivale), decide di infangare e gettare ombra su un qualcosa di “studiato”, su una persona che calcisticamente ha scritto, sta scrivendo (con il recente record di imbattibilità) e continuerà a scrivere, la storia dell’Italia pallonara.
ANCHE QUEST’ANNO, IL PROSSIMO ANNO – Chiudiamo questo breve pensiero con un’altra frase di Buffon, sempre per non cadere in una polemica che l’esperienza ci ha insegnato essere senza fine. A buon intenditor, poche parole.
“Come se i colpevoli fossero sempre gli altri, come se le responsabilità non spettassero mai a noi, come se il potersi trovare in una situazione favorevole non fosse mai frutto del merito, ma sempre e solo della fortuna sfacciata o del caso, come se ammettere che gli avversari sono stati più bravi fosse uno smacco inaccettabile per il nostro ego, come se per nascondere le nostre insicurezze e fragilità avessimo sempre bisogno dell’alibi, come se sapere se ci sono due omosessuali in nazionale fosse l’unico interesse del paese, come se, alla fine di questi giorni di caccia alle streghe, si scoprisse che all’estero sono migliori di noi. Vabbè, come se questi pensieri servissero a qualcosa… Pensiamo a noi e cerchiamo di vincere, il resto è aria fritta, discorsi da bar, congetture da mediocri, argomentazioni da perdenti…”.
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