La sera dell’8 dicembre aveva scavato un solco, quella del 16 marzo l’ha riempito. D’accordo, la Juventus è fuori dalla Champions, il rimedio non è stato superiore al male: se si sbagliano più gol davanti alla porta, di cui uno al 93′, si può essere singolarmente responsabili di una sconfitta. Ma se si disputa una partita come quella fatta da Morata mercoledì sera all’Allianz Arena, forse il debito è stato pagato: probabilmente, in cuor suo, lo spagnolo si sentiva responsabile del secondo posto nel girone che ha portato in dote il Bayern Monaco, a fronte di altri improbabili accoppiamenti negli ottavi di finale. E allora ci ha messo tutto quello che aveva, quello che forse non ha mai dato fino a questo momento: se prendi palla, salti mezza squadra tedesca percorrendo tutto il campo a velocità folle, e scarichi il pallone al momento giusto sul compagno che fa gol, le stimmate del campione le hai. Stimmate vere, non procurate.
Se l’Avvocato fosse stato ancora tra noi, probabilmente avrebbe da tempo riciclato il soprannome che affibbiò a Del Piero dopo il maledetto infortunio del ’98: il nuovo Godot questa volta ha i capelli corvini, la barba incolta e parla spagnolo. Quattro gol in campionato, due in Coppa Italia e due in Champions: numeri scarni, numeri che non rispecchiano il talento ancora inesploso di un attaccante su cui la Juventus ha investito molto, in termini economici e di aspettative.
Il problema è probabilmente psicologico: carattere fragile, non sfrontato come Dybala, non sicuro di sé fino alla morte come Mandzukic, non “folle” come Zaza. Morata è un ragazzo intelligente e pacato, forse timido e insicuro, di certo non arrogante: perché i movimenti del corpo rispecchiano sempre quello che si ha nella testa, si prenda ad esempio il modo di calciare in porta. Alvaro calcia spesso di interno destro (a volte sinistro, come a Palermo e Manchester), cerca la precisione, il controllo della traiettoria, senza troppa grinta o cattiveria: non è il centravanti che “sfonda” la porta, non tira di collo pieno mettendo tutta la forza del corpo in quel calcio. Lui usa la testa, lui cerca di calcolare e prevedere il movimento del pallone: un calcio pulito e preciso, ma a volte troppo timido.
Morata cerca di allargarsi per avere poi tutta la visuale della porta, non “stringe” sul primo palo per bruciare l’avversario diretto e il portiere: a volte pare chieda il permesso di farlo, altre volte i suoi movimenti sono un chiaro invito ai compagni: “prego, segnate pure voi”. Bello, bellissimo, con stile e classe: ma un centravanti dovrebbe anche fare altro. Un centravanti vero deve attaccare lo spazio tra sé e la porta, deve bruciarlo: deve calciare di precisione, ma deve saper anche quando mettere il “collo ignorante” (oggi si dice così…) che ti sblocca una partita stagnante (caro Reina, ti viene in mente qualcosa…?).
Come con Dybala nell’altro senso, Allegri sta lavorando alacremente su di lui, cercando di trasformarlo in una prima punta vera: Morata ha tutto per riuscirci, deve soltanto prendere coscienza dei suoi mezzi e capire che può diventare uno dei più forti attaccanti d’Europa. Deve diventare più cattivo, più arrogante. La Juventus attuale ha bisogno di due elementi per poter raggiungere il livello di Bayern Monaco e Barcellona: un regista (ma questo è un altro discorso), e un centravanti che “butti giù” le porte. Quello che Morata può e deve diventare: Godot non può essere aspettato in eterno.
Gennaro Acunzo