Finalmente, ci siamo. La Serie A ed il calcio professionistico italiano ripartiranno nel mese di giugno dopo la gravissima pandemia del COVID-19 che ha colpito il mondo intero. Non so voi, ma alla notizia della ripresa del calcio ho esultato come se Cristiano Ronaldo avesse segnato un gol di indicibile importanza in Champions League. Adrenalina. E’ inutile fare troppi giri di parole: la Juventus, la Serie A, il calcio sono mancati a tutti ed oso parlare al plurale perchè sfido chiunque ad affermare il contrario. Inevitabilmente il coronavirus ci ha catapultati per 3 mesi in una vita che mai avremmo pensato di vivere, ma con le dovute precauzioni bisogna tornare pian piano alla normalità e questa vuol dire anche tornare a guardare quello stupido pallone che corre sui campi di gioco.
“La ripresa del calcio messaggio dev’essere un segnale di speranza per tutti” ha sempre detto Gabriele Gravina durante questo periodo di lockdown, e come dargli torto? Il calcio ha un potere sociale incredibile, tanto che ha la virtù di tenere incollati davanti alla TV milioni e milioni di persone dimenticandosi delle proprie sofferenze, dolori e problemi per 90′. Senza dimenticare le moltissime persone che lavorano e vivono grazie al calcio, il quale non è fatto solamente di gente milionaria.
Anche per i semplici tifosi sono stati mesi duri: quel continuo tira e molla tra Governo e la Federazione è stato veramente snervante, soprattutto per quella continua propensione al non decidere. E’ più che comprensibile che per una scelta del genere in questo periodo storico ci vogliano tutte le precauzioni del caso, ma la coerenza è alla base di tutto. In questo senso Gabriele Gravina ha percorso la propria strada dal 9 marzo al 28 maggio in un unico senso: ripartire quando sarà possibile. Il Presidente della FIGC ha dimostrato di essere un uomo forte, con le idee chiare e con la grandissima determinazione che gli abruzzesi hanno (perdonate il patriottismo). Gravina ha vinto una battaglia quasi in solitaria contro i moralisti che chiedevano : “Come si fa a parlare di riprendere a giocare davanti a tutti quei morti?”, ha schivato le accuse di chi affermava che non avesse dei piani di riserva e giustamente si è tolto dei sassolini dalle scarpe quando ne ha avuto la possibilità: “Per me è stata una parentesi di grande tristezza, e lo farò presente, constatare che nel mondo del calcio alcuni facciano di tutto per non giocare, convinti che così non pagherebbero alcune mensilità ai propri tesserati” ha detto qualche giorno fa.
La Grandezza di Gabriele Gravina non sta solo nel fatto di come e quanto si sia battuto per far ripartire il calcio, ma soprattutto per le azioni benefiche di cui si è reso protagonista. Su tutte ha trasformato il Centro Tecnico Federale di Coverciano in un luogo sicurissimo per ospitare pazienti positivi al coronavirus, senza trascurare le donazioni fatte all’ospedale della sua città (Sulmona, ndr) sempre per la lotta al COVID-19. La sua grande battaglia però non è stata ancora vinta, si esulterà solamente quando la stagione 2019/20 verrà terminata. Nel buio della guerra Gravina ha tenuto a mente che prima o poi finisce, il coronavirus non è ancora sconfitto ma anche il calcio è finalmente pronto a ripartire. E noi con tutti loro.