Maurizio Sarri ha rilasciato un’intervista ai microfoni di Vanity Fair. L’ex tecnico del Napoli, oggi allenatore del Chelsea, parla del suo periodo trascorso lontano dall’Italia e del suo probabile approdo alla Juve.
Ha svelato che gli manca molto la sua casa, i suoi amici ed i suoi genitori: per l’allenatore, il suo periodo a Londra è stato molto pesante.
Sarri è cresciuto in Toscana ma ha origini napoletane. Al giornale ha risposto alle polemiche dei tifosi del Napoli che non vorrebbero vederlo in tuta bianconera: “I napoletani conoscono l’amore che provo per loro, ho scelto l’estero l’anno scorso per non andare in una squadra italiana. La professione può portare ad altri percorsi, non cambierà il rapporto. Fedeltà è dare il 110% nel momento in cui ci sei. Che vuol dire essere fedele? E se un giorno la società ti manda via? Che fai, resti fedele ad una moglie da cui hai divorziato? L’ultima bandiera è stata Totti, in futuro ne avremo zero”.
Sulla parola famosa che la Treccani ha aggiunto tra i neologismi come concezione del calcio c’è “Sarrismo“, il tecnico si esprime: “È un modo di giocare a calcio e basta. Nasce dagli schiaffi presi, l’evoluzione è figlia delle sconfitte. Non solo nel calcio. Io dopo una vittoria non so gioire: chi vince, resta fermo nelle sue convinzioni. Una sconfitta mi segna dentro più a lungo, mi rende critico, mi sposta un passo avanti. Mio nipote mi fa leggere la pagina Facebook Sarrismo Gioia e Rivoluzione. Si divertono, io sono anti-social, non ho neanche whatsapp”.
Su Cristiano Ronaldo: “Esistono squadre medie di grandi giocatori o grandi squadre di giocatori mdi. Io lavoro su questo: il fuoriclasse è quello a disposizione della squadra, altrimenti è solo un bravo giocatore. Siamo pieni di palleggiatori fenomenali. Il divertimento è contagioso se collettivo, se ti diverti da solo arriva la noi”.
Il mio abbigliamento in tuta? Se la società mi imponesse di andar vestito in altro modo, dovrei accettare. A me fanno tenerezza i giovani colleghi del campionato Primavera che portano la cravatta su campi improponibili. Mi fanno tristezza, sinceramente. Superstizioni? Ne ho meno di quelle che mi attribuiscono. Ho smesso di vestire solo di nero. Mi è rimasta l’abitudine di non mettere piede in campo, dentro le linee dico, finché la partita non è finita. Prima o poi abbandonerò pure questa: già in certi stadi le panchine son dalla parte opposta degli spogliatoi e il prato devo calpestarlo per forza. Quando cominci a vincere, le scaramanzie finiscono“.