La Stampa, Marchisio: “Dani Alves raccontò a me e Barzagli che a Berlino hanno avuto paura di perdere la finale”

Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Claudio Marchisio, il principino, non smette di parlare di Juventus anche a chilometri di distanza da Torino. Il suo addio questa estate ai bianconeri, fa ancora male, ma lui non dimentica gli anni passati nella sua squadra del cuore. 

MARCHISIO: “SONO JUVENTINO”

Claudio Marchisio si racconta in un’intervista alla Stampa:

SOPRANNOME – “Il soprannome ‘Principino‘ mi ha seguito fino in Russia, meno male che mi piace. Pensare che era nato perché io e Balzaretti andavamo al campo in giacca e cravatta…”.

SERIE A – “La Serie A è molto meglio di come ce la raccontiamo, l’evoluzione è enorme e va oltre il fattore Ronaldo. Il Napoli è cresciuto, la Roma ha dato prova di carattere nonostante l’andamento incerto, l’Inter cerca continuità. Le rivali crescono, ma la Juve è avanti di anni. Lo stadio di proprietà, il marchio che parla al mondo… quella J è come l’incastro delle lettere sul cappellino dei New York Yankees. Per quel livello ci vuole tempo e soprattutto idee”.

RONALDO – “I miei figli mi hanno sgridato per Cristiano “papà, arriva lui e tu te ne vai?. Champions? La Juve non deve temere nessuno. Quest’anno ha la consapevolezza di poter vincere”.

FINALE – “Non abbiamo vinto e qualcosa mancava. Penso a livello di concentrazione e determinazione… La grinta messa a Cardiff per recuperare la partita sull’1-1 è scivolata via ed è successo ben due volte. Stessa storia a Berlino, con il Barcellona. Dani Alves raccontò a me e Barzagli che loro hanno davvero avuto paura di perdere quella sera”. In una finale non sono concesse distrazioni. Ora però l’ambiente bianconero adesso merita quel trofeo”.

ADDIO JUVE – “Rammarico in caso di successo in Champions proprio ora? Forse per un secondo mi dispiacerà, ma io sono juventino. Sono stato su in curva, poi in campo ora in tribuna. Ho vinto così tanto con quella maglia che non può esistere un rimpianto”. Addio? Era il momento. Dopo anni, a Torino avevo dato tutto. Trovare ogni stagione nuova linfa, con le stesse persone è dura. Migliorarsi con costanza in una sola società è difficile”.

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