Bravo Max. Senza girarci poi così intorno: bravo perché quel premio, quello che magari per te conterà il giusto, è il riscatto di chi ha sempre creduto nelle tue capacità. Di chi non ha bisogno di un maestro d’ossessioni, ma di chi è stato bravo a sfilettare una squadra che andava cotta a puntino. Quindi pungolata, infine messa in campo.
Bravo Max, non c’è che dire: la Panchina d’Oro è meritata. Strameritata. Non tanto per quello che hai raggiunto, ma per quanto ti sei fidato di te stesso nei momenti cruciali. Per tutte le volte in cui la rotta non era chiara e si è imbarcati troppa acqua e troppe parole. Per ogni istante in cui qualcuno ti ha sottovalutato, preferendo la bella copia dei sogni. Senza che di questi se ne fosse concretamente realizzato uno.
Sì, bravo Max. E bravi i ragazzi, brava la società, ma bravo soprattutto tu. Che settimana dopo settimana schivi le polemiche con disinvoltura, affrontandole a testa alta. Tenendo lo sguardo fiero perché così è il tuo animo. Raccontando la tua filosofia come si fa a un amico sincero: toccate tutto, non il lavoro fatto. E non i sacrifici, poi: che quelli te li senti sempre addosso, come cicatrici in un mondo in cui non ci si sporca più le mani.
Bravo Max. Che conservi ancora quest’entusiasmo, che te la vivi bene come il primo giorno. Che non ti prendi troppo sul serio, che non lo farai neanche con questo premio. Che in fondo lo sai, però: se sei lì un motivo c’è. Se ti corteggia il mondo intero, qualche capacità ce l’hai. Se sei l’unico in grado di domare la Vecchia Signora, ecco, vuol dire che il talento t’irradia come la luce su Torino nei giorni belli. Proprio come oggi.
Bravo Max. Che non hai bisogno di stare a capo di una finta rivoluzione per passare alla storia. Tu ti tieni le vittorie, e i sorrisi, e pure le delusioni. Tutto sul taccuino: ché lassù, fidati, ci va solo chi non ha bisogno di contorni o protezione.
Cristiano Corbo
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