Il Messaggero: “Roma, ventunenne pestato con un tirapugni all’uscita di una discoteca, perché indossava la maglia della Juventus”.
Può un ragazzo essere pestato a sangue perché indossa la maglia della squadra del cuore? Siamo tutti responsabili, perché l’odio genera odio.
Odio che nello sport, come nella vita non dovrebbe esistere, ma che ogni giorno viene diffuso anche e soprattutto da chi dovrebbe dare il buon esempio.
Non si può far finta di non notare il clima nei confronti della Juventus, il “sentimento popolare” che da diversi mesi a questa parte avvelena il calcio italiano.
Se poi questo clima di odio, sospetto, viene alimentato dagli addetti ai lavori, i quali dovrebbero abbassare i toni, anziché esacerbarli, il risultato non può essere inevitabilmente questo.
Dirigenti, calciatori, allenatori, magistrati, giornalisti quando vedono i colori bianconeri spesso dimenticano le responsabilità cui sono chiamati nell’esercizio della professione.
Quando un magistrato in un convegno pubblico si permette di dire a chiare lettere e come se nulla fosse “Odio la Juventus”, quando un ex calciatore rilascia interviste tronfio dicendo “Odio la Juventus”, quando un allenatore a mezzo stampa diventa il promotore della teoria del sospetto, dimenticando gli oneri che comporta l’esposizione pubblica, ma soprattutto, che le parole hanno un peso.
E che dire di alcuni giornalisti? Per un po’ di notorietà sui social, approfittano dell’inchiesta riguardante il club bianconero per rotolarsi nel fango, vomitare bile e frustrazione, alimentare odio, in barba a qualsiasi etica professionale, onestà intellettuale.
Il bianconero acceca a tal punto da non fermarsi mai. Davvero non si può riuscire a vivere il calcio nella sua essenza più pura, in quanto sport?
Gravina si riempie la bocca di “Nuovo Rinascimento“, senza capire quanto l’Italia calcistica sia terribilmente indietro non soltanto nelle infrastrutture, quanto a livello culturale.
In qualsiasi disciplina sportiva c’è spazio alle rivalità sane, agli sfottò, che sono l’essenza del calcio e dello sport in generale.
L’impressione è che in Italia, troppo spesso, si confonda la rivalità con l’odio.
Il cambiamento culturale deve partire in primis da chi si occupa della comunicazione e dell’informazione, dai soggetti tesserati e non, che sono esposti pubblicamente e giornalmente.
Violenza (verbale e fisica) genera violenza, odio genera odio: fermiamoci e sentiamoci tutti responsabili della deriva non solo calcistica, ma socioculturale cui stiamo assistendo.
This post was last modified on 13 Aprile 2023 - 17:30