L’avventura di Sebastian Giovinco con la maglia bianconera inizia nel 2006, nel 2007 viene dato in prestito all’Empoli per poi tornare alla Juventus nel 2008. Nel 2010 viene nuovamente dato in prestito, però questa volta al Parma dove resta fino al 2012, anno in cui torna per la seconda volta alla Juventus, dove resta fino alla stagione 2014/2015. Dopo il suo ultimo anno alla Juve, Giovinco decide di lasciare l’Italia e vola a Toronto.
L’ex calciatore, sul sito della Juve ha raccontato la sua carriere di calcio e non solo, di seguito alcuni estratti del suo racconto:
Sulla Juventus:
“Ricordo i primi passi alla Juve. Giocavo in una piccola squadra in periferia e il sogno era quello di tutti: approdare in una grande squadra. Il primo impatto non è stato facile, diciamo che non è stato un inizio da favola, sembrava tutto troppo grande. Ho speso alla Juve praticamente la metà della mia vita, e lì non impari solo il calcio, anche perché il primo salto con i grandi è stato difficile. Magari qualcuno non sente tanto la differenza, io l’ho sentita. Con la Juve, ho coronato il sogno di tantissimi: vincere lo scudetto. È stato speciale e non troverei le parole per descriverlo”.
Sulla famiglia:
“La famiglia è stata fondamentale per me e non ha mai smesso di sostenermi: quanti sacrifici hanno fatto! So che sono sacrifici che chiunque abbia un figlio o una figlia con il mio stesso sogno conosce bene. Mio papà Giovanni faceva chilometri per accompagnarmi, usciva prima da lavoro, e doveva anche dividersi tra me e mio fratello, dato che avevamo orari diversi. Loro ci sono stati anche nei momenti più difficili”.
Su suo figlio:
“Mio figlio Jacopo, anche lui gioca a calcio, qui a Toronto, e voglio che sia consapevole del valore delle cose e che non pensi mai che qualcosa sia scontato solo per il cognome. Ora gioca nella squadra B della Academy, perché per stare nella squadra A ha bisogno di lavorare di più”.
Aneddoto su Ibra alla Juve:
“Ricordo Ibra che massacrava tutti, faceva battute e stuzzicava in continuazione. Una volta, era una delle prime, passò accanto a me e mi disse “You’re a stupid boy”. Rimasi un attimo stupito. Stupido? Perché? Non avevo fatto niente. Era il suo modo di testarmi, voleva vedere come reagivo alla pressione. Se uno si buttava giù e rimuginava, evidentemente, non era pronto, mentre se uno riusciva a farsi scivolare tutto addosso poteva anche reggere la pressione di stadi e avversari”.
Tatiana Digirolamo
This post was last modified on 23 Marzo 2023 - 19:11