Ce ne vuole, per capire se la fiducia è più una manipolazione, che un’attitudine. Ce ne vuole, per capire se è più una protezione, che una presa di posizione. Ce ne vuole di tempo, spalle larghe e denti stretti.
Qualcuno ne ha avuta tra le ceneri di Calciopoli e la retrocessione in B. Qualcuno il 16 luglio di sette anni fa, alla faccia di un intonatissimo “Noi Allegri non lo vogliamo!”. La fiducia, quella guadagnata a Berlino, poi persa a Cardiff dopo l’1-3 di un mostro sacro che, da lì ad un anno, avrebbe iniziato a cercare casa all’ombra della Mole.
Galeotti furono gli applausi scroscianti dello Stadium dopo la sua rovesciata, ma quella tra Cristiano Ronaldo e la Juventus è di fatto la comunione perfetta tra l’esperienza europea del giocatore e l’ardore della società, inseguitrice indifesa della Coppa dalle Grandi Orecchie.
La Champions tra ambizione e ossessione
Eppure, dopo tre stagioni dall’approdo a Torino, il portoghese non è riuscito a condurre la Vecchia Signora lì dove da tempo brama di arrivare: Ajax, Lione e Porto si sono rivelati giustizieri di una squadra paradossalmente ancora troppo acerba per l’attesissimo salto di qualità sul palcoscenico più ambito d’Europa. Irragionevole – ma tremendamente comodo – pensare che sarebbe bastato avere il giocatore più forte al mondo in rosa per raggiungere quell’obiettivo tanto messo a fuoco, poi corteggiato e quasi conquistato negli ultimi nove anni.
Un’eliminazione ai quarti e due consecutive agli ottavi non inficiano minimamente l’impareggiabile palmarès di Ronaldo, ma avallano le tesi di quella scuola di pensiero che, ad oggi, si chiede se bastasse piazzare il colpo del secolo per piazzarsi nell’Olimpo delle grandi.
In tal senso non c’è da meravigliarsi se, nella notte cruciale della stagione, Madama si sia concessa il lusso di giocarsi l’accesso alla Champions tenendo il suo fuoriclasse relegato in panca. “Scelta concordata, è molto stanco” chiosa il ds Paratici nel pre partita, stroncando sul nascere qualsiasi insurrezione mediatica.
La luce dietro al buio
Il tap-in vincente di Chiesa, il raddoppio di Morata dopo lo splendido tocco di Dybala, il tris di Rabiot a tu per tu con Skorupski e il poker calato al 47′ dallo spagnolo convalidano il potenziale di una squadra altamente competitiva sulla carta, ma spaventosamente succube degli avversari in campo quest’anno.
Alla fine, però, è dal match più pronosticabile della giornata che viene consegnato alla Juventus l’obiettivo minimo della stagione bianconera. Quello stesso obiettivo che, nell’arco di pochi mesi, è passato dall’essere fatto ovvio a trascendentale. Da realtà a miraggio, il passo, non sembra poi chissà quanto lungo.
La qualificazione agguantata in extremis non lustra un’annata fin troppo opaca per essere parente di quelle passate, ma mitiga il destino di una squadra che avrebbe meritato un epilogo migliore di questo. Se razionalmente è giusto che le squadre si alternino nei successi, visceralmente non è concepibile pensare ad una Juventus spoglia del suo tratto più distintivo: la fame di vittorie.
Ragionando in termini economici, poi, i 50 milioni di ricavi Champions diventano ossigeno per le casse del club, e rappresentano l’unico monito possibile per convincere il numero 7 a restare. D’altronde, 31 milioni a stagione di ingaggio per un trentaseienne – seppur un trentaseienne che di cognome fa Ronaldo – non sono bruscolini.
Un bivio chiamato futuro
Alla Continassa si avrà tempo a disposizione per risolvere i grattacapi più manifesti della squadra, intanto l’attaccante è già tornato in patria, dove il c.t della nazionale portoghese Santos lo aspetta a braccia aperte in vista dell’Europeo. “Obiettivo raggiunto, ho vinto tutto anche in Italia” ha scritto nel bilancio pubblicato ieri sera sul suo profilo Instagram: che non sia stato quello in Coppa Italia, quindi, l’ultimo ballo di CR7 con la Signora?
Gli scenari in casa Juve sono molteplici, i giocatori prossimi ai saluti potrebbero essere tanti, e il futuro del tecnico è un rebus ancora tutto da risolvere. Ce ne vuole, di fiducia. Ce ne vorrà, all’alba di una nuova stagione, perché quando l’incertezza ti accorcia il fiato, sfoderare quell’arma chiamata fiducia resta l’unico mezzo per fronteggiarla.
Gabriella Ricci