Quante volte, nella nostra vita, ci siamo trovati inadeguati in determinate situazioni? Nel posto giusto, ma nel momento sbagliato: è la prassi, quasi. La nostra esistenza è influenzata da molti fattori che vanno ad incidere costantemente il nostro umore, dal quale dipendono le nostre azioni ed i nostri comportamenti. Molto dipende anche dalla fortuna che può baciarti o farti cadere nel baratro a seconda dei casi. Per Machiavelli essa è un potere superiore in grado di controllare la vita dell’uomo, ma quest’ultimo deve avere la capacità di saper gestire le proprie azioni valutando il contesto in cui si trova per poi decidere i mezzi per raggiungere i propri scopi.
I tifosi della Juventus ricordano benissimo quei primi giorni di agosto dello scorso anno, quando l’euforia della vittoria del nono Scudetto consecutivo fu immediatamente sostituita dalla grandissima delusione dell’eliminazione in Champions League contro il Lione. Ci voleva una nuova boccata d’aria per trasformare quel sentimento di rimorso in entusiasmo. Ci voleva una scelta coraggiosa per riportare alle stelle il morale di squadra e soprattutto tifosi che, nonostante i continui successi nazionali dei propri beniamini, invocavano a gran voce la vittoria di quella Coppa che è lontana da Torino da 25 anni ormai. E la campagna europea dello scorso anno è stata davvero una mazzata morale per i fans bianconeri che hanno faticato a digerire un’eliminazione arrivata in quel modo contro la squadra di Rudy Garcia.
Si sa, però, che le scelte coraggiose spesso hanno poco di razionale. Le ore successive all’eliminazione in Champions League furono turbolente, frenetiche. Il destino di Maurizio Sarri era già sancito (da qualche settimana?), verso l’ora di pranzo dell’8 agosto ci fu l’epilogo più scontato: l’esonero. Nella storia della Juventus raramente ci sono stati degli allenatori allontanati dopo aver vinto uno Scudetto, addirittura nel 2019 e nel 2020 ce ne furono due facendo scrivere alla dirigenza bianconera, a loro modo, un pezzo importante della storia juventina.
Entusiasmo. Era questo quello che cercava il Presidente Andrea Agnelli accompagnato da Fabio Paratici, Pavel Nedved e tutto lo staff. E chi meglio di un nome che nessuno si sarebbe mai aspettato potesse riportare euforismo nell’ambiente bianconero? Col senno di poi è facile parlare, ma in quei giorni la decisione di mettere sotto contratto Andrea Pirlo sembrava essere davvero quella giusta. Il nome dell’ex giocatore della Juventus ha scaldato gli animi di tutti proprio perché in quella scelta c’era quel brivido di sana sfrontatezza, in fondo il Joker ha sempre ragione quando afferma: “La follia è come la gravità: basta solo una piccola spinta“.
Ci possono essere tante attenuanti da prendere in considerazione per Andrea Pirlo: gli infortuni, l’inesperienza, le 3 partite a settimana giocate almeno fino a fine gennaio che comportavano i pochi allenamenti per incanalare i suoi concetti nella testa dei giocatori, gli errori che inevitabilmente un allenatore alla sua prima avventura doveva pur commettere e tanti altri fattori che hanno inciso in questa stagione. Però, se in sostanza l’annata della Juventus è stata un disastro (e parleremo di fallimento in caso di sconfitta anche in finale di Coppa Italia) lo si deve soprattutto alla cattivissima valorizzazione della rosa che l’ex giocatore del Milan non ha saputo gestire.
Qui si possono aprire altri mille discorsi paralleli (in campo ci vanno i giocatori, ad esempio), ma non è ammissibile che un allenatore non abbia saputo dettare idee, convinzioni, personalità alla propria squadra dopo 8 mesi di stagione. Forse non avevano tanto torto Allegri e Sarri quando dicevano che questa squadra è inallenabile, in questo senso però il ruolo di un allenatore è anche quello di saper dare una scossa emotiva ai suoi giocatori. Fino alla fine di gennaio la Juventus è andata in crescendo per convinzioni tecnico-tattiche, con i culmini di risultati della vittorie di Barcellona e di San Siro contro il Milan. Poi questa evoluzione si è fermata. Stop. Fine. Punto. Nel momento clou della stagione la Juventus è stata una squadra vuota, senza personalità, senza voglia di riaddrizzare una stagione che poteva quanto meno essere sufficiente senza la vittoria del decimo Scudetto consecutivo. Probabilmente è stata anche una questione di attitudine dei giocatori che hanno sempre avuto il massimo come obiettivi e non sono riusciti a scendere mentalmente di ambizioni. In questo caso, però, è l’allenatore a saper dettare quel “il fine giustifica i mezzi” di machievellica memoria: la famosa Pirlolandia non è mai esistita.
I famosi mezzi di Andrea Pirlo sono stati costantemente degli errori durante questa stagione. I principali sono stati quelli di comunicazione: soprattutto nella prima parte di stagione l’allenatore della Juventus parlava, ragionava, commentava ancora troppo da giocatore anziché da mister: un chiaro segnale che nella sua testa il passaggio di ruolo non era completamente avvenuto. I punti di distacco dall’Inter a marzo raggiungono la doppia cifra e nemmeno dopo la clamorosa sconfitta contro il Benevento non arrivano delle parole di resa verso il tricolore, causando (forse) anche il mancato ridimensionamento nella testa dei giocatori per gli obiettivi minori. Nel mese di aprile comincia ad assumersi le responsabilità dei risultati non soddisfacenti che arrivavano domenica dopo domenica, ma nel post gara di Firenze si fa un clamoroso autogol dicendo: “Non sono contento. Credo neanche la società” quando Fabio Paratici aveva dato ancora fiducia al suo lavoro nel pre partita.
La confusione di idee la si è vista soprattutto in campo. Se da una parte c’è la tenacia di voler continuare nel suo credo con il 4-4-2, dall’altra parte della medaglia c’è la pochissima flessibilità nello sperimentare nuovi sviluppi di gioco magari cambiando anche modulo. Questo è stato un grosso limite di cui ne hanno risentito anche molto i giocatori: ad esempio, Mckennie che non ha ancora trovato la giusta collocazione tra interno ed esterno di centrocampo; o per Kulusevski che ha sprecato buona parte della stagione giocando da seconda punta; così come non si è più riproposta la catena di destra composta da Chiesa e Cuadrado, facendo giocare l’italiano sempre sulla sinistra; o la folle idea di sperimentare la difesa a 3 per la prima volta in stagione nella famosa trasferta di Firenze.
Molto probabilmente queste saranno le ultime settimane di Andrea Pirlo sulla panchina della Juventus. L’allenatore bianconero non è il solo artefice della disastrosa (ripeto, fino ad oggi perché potrebbe essere anche peggio) stagione di Madama, ma certamente è uno degli indiziati principali. Il primo paragone che viene in mente è con Pippo Inzaghi che nella sua prima esperienza da allenatore di professionisti sedette sulla panchina del Milan con risultati non proprio convincenti, successivamente ha saputo dare lustro alla sua carriera con due promozioni ed una stagione ancora tutta da decidere con il Benevento. Andrea Pirlo, così come Inzaghi al Milan, probabilmente è solamente al posto giusto nel momento sbagliato.
Michele De Blasis
This post was last modified on 11 Maggio 2021 - 19:13