Andrea Pirlo si è presentato ai tifosi bianconeri come innovatore e fautore di una vera rivoluzione nella filosofia della Juventus. Aveva promesso un calcio liquido e spettacolare e ha iniziato coerentemente alle sue idee. Il resto è ormai cosa nota: una stagione praticamente disastrosa.
Che le cose potessero mettersi male i tifosi bianconeri lo avevano visto già nella partita contro la Roma. Era solo il 27 settembre ma i due gol presi dalla Juventus mettevano in luce le difficoltà a cui stava per andare incontro la squadra. Difesa altissima e un tentativo di calcio spettacolare che lasciava i centrali in balìa degli avversari. La rete in contropiede di Veretout probabilmente mise già termine all’esperimento.
Nel corso delle giornate Pirlo è sempre più venuto meno alle sue idee, tranne nella trasferta di Barcellona, dove la mano del tecnico si è vista davvero. Quella sera la copertina, più che della doppietta su rigore di Cristiano Ronaldo, era per Weston McKennie, simbolo del nuovo che avanzava. L’americano era onnipresente, recuperava palloni e agiva da incursore tanto da far crollare la porta di Ter Stegen con una girata.
Dopo quel successo, il nulla. La partita contro l’Inter a San Siro ha portato all’abdicazione da regina del calcio italiano e in seguito la Juventus ha sempre giocato con un 4-4-2 ordinato ma poco offensivo, con i giocatori che si sono limitati al compitino e niente di più (eccetto Chiesa e pochi altri ovviamente).
Il vero problema della Juventus è però stato un altro: la mancanza di mentalità. Nelle due sfide di Champions League contro il Porto la falla è emersa in tutta la sua grandezza. I giocatori non hanno saputo reagire e tentare di fare qualcosa per recuperare una situazione ancora aperta, nonostante la grave sciocchezza compiuta da Bentancur e Szczesny: al ritorno in campo invece è arrivato il gol preso dopo pochi secondi. Basta questo per far comprendere il problema di fondo.
Chiesa ha suonato la carica, non solo all’andata ma anche al ritorno. I suoi tre gol consecutivi hanno riaperto la qualificazione e sulle ali dell’entusiasmo (e anche dell’uomo in più) i bianconeri si sono spinti all’attacco, ma la palla proprio non è voluta entrare (vedasi la traversa di Cuadrado). Una grande squadra però non si permette cali di attenzione e l’errore in barriera (la mancanza del “coccodrillo“) è stato frutto di un crollo mentale collettivo e generalizzato dopo 120 minuti di battaglia. E anche questo ci riporta al problema di fondo.
La perdita di ogni certezza (e anche dei milioni della Champions League) ha impedito psicologicamente ai bianconeri di poter lottare per le posizioni che contavano in campionato. La situazione non era però così grave come in questo momento siccome solo pochi punti dividevano la Juventus dal Milan secondo e le partite da giocare erano ancora tante. La sconfitta con il Benevento ha definitivamente scollato i bianconeri nella testa e nel corpo, qualcosa che non era successo neanche dopo il Sassuolo nel 2015. Valga anche questo per sottolineare il problema di fondo.
La società è la prima colpevole della mancanza di una programmazione definita e consistente, ma questo è un altro discorso. Se il problema di fondo della squadra è però la testa sembra chiaro come la situazione sia ormai definita ed il responsabile sia Andrea Pirlo.
Un grande campione come lui dovrebbe capire il modo in cui affrontare i problemi ma i tifosi della Juventus prima e dopo ogni gara ascoltano sempre le stesse parole: “ci aspetta una finale“-“sono comunque soddisfatto“. Non pare proprio il modo giusto per risolvere una situazione complicata.
Le parole di Paratici di ieri sono altrettanto sconcertanti. Dire che Pirlo lascerà la Juventus solo in caso di mancato accesso alla Champions League è una vera follia: l’obiettivo stagionale della squadra non era il quarto posto ma il primo, che a fine campionato sarà distante almeno 10 lunghezze.
Fondamentalmente del progetto di Pirlo è rimasto poco o nulla (ma propendiamo per la seconda cosa). Le sue idee non sono messe in pratica e la squadra non lo segue più. Ormai è tempo di andare avanti e di intraprendere una nuova strada. E se lui resterà, per scelta obbligata o meno da parte della società, che si cambi tutto ugualmente: lo si assecondi e si cerchi di mettere in pratica cosa pensa del “pallone“, perché ormai ciò che si vede in campo è qualcosa di più lontano possibile dal gioco del calcio.
This post was last modified on 27 Aprile 2021 - 15:19