Claudio Marchisio ha concesso una lunga intervista al sito ‘Cronache di Spogliatoio’, nella quale si è raccontato a 360 gradi e senza filtri. Ecco le sue parole:
Sull’infortunio: “L’infortunio? La squadra è importante, ma lo è di più casa, amici e famiglia. Quando sei infortunato viaggi a una velocità completamente diversa da quella dei tuoi compagni, hai un percorso lento e loro veloce nel preparare le partite. Non vivi quei momenti. Chi è a casa ti aiuta perché vive alla tua stessa velocità. Il legame con la Juventus lo sto vivendo anche ora ma con qualche mal di pancia in più visto che non possiamo andare allo stadio. La passione però è sempre la stessa che avevo da giocatore. Vederla da fuori in certi momenti, soprattutto quest’anno con tanti intoppi e qualche sconfitta pesante, non è facile mentre in spogliatoio la tensione la scaricavi in campo. Ora è diverso. La vivo come tutti i tifosi. La pandemia mi ha aiutato a staccare dalla carriera professionistica. I primi mesi ero pronto e deciso, poi cercavo sempre il campo, anche quando giravo in macchina”.
Sulla sua juventinità che potrebbe averlo limitato: “Può essere. Quando raggiungi la prima squadra dopo averla sognata da bambino è incredibile, finché non ci arrivi non ci credi, anche perché vedi tanti ragazzi che hanno talento e si perdono per mille motivi. Ci sono stati anni in cui potevo andare via, soprattutto i due anni del settimo posto. La Juve era in difficoltà e le squadre straniere mi cercavano. Erano stati anni pesanti, io non avevo ancora vinto nulla, ma c’era gente come Nedved, Buffon, Del Piero che aveva vinto tutto e arrivando settimi avevano dei mal di pancia terribili. E anche io. A un certo punto non nascondo che il mio pensiero era quello di vincere, solo quello. Per fortuna l’anno successivo abbiamo iniziato a farlo. Sono arrivate altre proposte, ma stavo realizzando il mio grande sogno e ne ero orgoglioso. Quando guardo la Juve non posso che sorridere. Anche quando perde, guardo quella maglia, penso a ciò che è stato, so cosa vuol dire e sorrido per quello che mi ha regalato”.
Sui sette Scudetti vinti: “Sono una piccola parte in una grande storia. Anche se fosse stato 1, sarei stato felice. Quando abbiamo iniziato questo percorso non ci aspettavamo questi risultati. C’è tanto dentro. Non sono solo i trofei, ma anche le partite, i gruppi, le rimonte. Rivedere le foto ti fa ricordare quei sorrisi ed è liberatorio. Le citriche agli opinionisti tifosi? È un problema culturale, non solo nello sport. Pogba ha raccontato di aver vissuto un razzismo qua, quando era solo ragazzo, che non si immaginava. C’erano un padre con un bambino che lo insultavano, la sua risposta fu regalare la maglia al bambino. Quel bambino quando è arrivato a casa secondo me non si rivedeva più in suo padre ma in Pogba. C’è un problema di razzismo reale, ma una parte è anche ignoranza, che trasforma questa passione in qualcosa di negativo che i padri trasmettono ai figli. McKennie? È fondamentale che arrivino ragazzi dall’estero per insegnarci l’apertura mentale. Bisogna abbattere queste barriere, quelle del razzismo e quello dello sportivo che deve pensare solo allo sport. Non è così”.
Sul flop delle italiane in Europa: “Noi in Italia cambiamo idea e pensieri troppo in fretta. Non so il perché nella Juve, in un ciclo così vincente, non sia mai arrivata una Champions. Non me lo spiegherò mai. A livello statistico, nei grandi cicli nella storia italiana ed europea una Champions sarebbe arrivata. C’è grande rammarico, però purtroppo è così. Abbiamo visto una cosa positiva, però, nell’Atalanta: hanno proposto in Europa un gioco nuovo, diverso. Nell’andata con il Real Madrid ha giocato una gran partita nonostante l’espulsione ingiusta all’inizio. L’intensità e velocità di gioco è totalmente differente”.
Su Buffon: “Sicuramente è una persona che mi ha dato tantissimo, non è semplice per un portiere. Loro hanno il loro piccolo gruppo, vivono tempi e situazioni diversi. Non è facile essere capitano ed esserlo da portiere. Ma aveva una grande capacità: vedeva quando il gruppo cominciava a non essere concentrato o a stare giù, allora chiamava tutti e parlava. È anche questa una grande capacità. La duttilità di Bernardeschi può essere un problema? Sì, a un certo punto tu e l’allenatore dovete capire qual è il ruolo. Non è che ogni allenatore può cambiarlo. Bentancur per esempio è stato portato davanti alla difesa per mancanza di giocatori, ma è troppo presto. Ha bisogno di ritmo, ha velocità, doveva continuare a fare la mezzala per arrivare a quei 6-8 gol che non ha mai fatto”.
Chiosa su Benzema: “È stato vicino alla Juventus nell’anno di Ferrara. Non aveva fatto bene al Real Madrid e c’era la possibilità di prenderlo. Purtroppo non arrivò, peccato”