Gianluigi Buffon, l’eroe predestinato a parare anche il tempo

La maglia è la stessa, quella indossata in casa per tutta la stagione, ma sulla manica destra dei giocatori compare una patch celebrativa.

UN1CO” scrive la Juventus per omaggiarlo, ribattendo l’indiscutibilità della sua grandezza davanti ad una platea che fatica a trattenere le emozioni. Mentre qualcuno da casa spera ancora che non sia questo il giorno, decisivo, indimenticabile a difesa dei pali bianconeri, qualcun altro allo Stadium ha già il volto bagnato dalle lacrime. E’ il 19 maggio del 2018 e, nel giorno in cui Gianluigi Buffon stringe la presa della sua amata Signora per l’ultima volta, piange anche il cielo sopra Torino.

Unico, sì, perché un atleta come lui ha fatto dell’impareggiabilità il suo tratto distintivo, e cos’è la straordinarietà se non una condizione di superiorità che si palesa di fronte a qualsiasi cosa o persona le si metta a confronto?! Eppure, nonostante un palmarès e un percorso di crescita ostinata che farebbero da monito anche al più pluripremiato dei suoi colleghi, il portiere originario di Carrara conserva ancora oggi l’entusiasmo di un esordiente che macina sogni e ambizioni di gloria.

Imparerò a guardare il futuro con occhi diversi, raccoglierò le nuove sfide che la vita mi proporrà con la curiosità di chi non vuole smettere di sentirsi in gioco” scrive alla vigilia del suo commiato, consapevole che il destino ci ricorda con prepotente sfrontatezza che siamo in balia di ciò che non conosciamo, e che, se predisporre il futuro è confacente e abituale, sopravvivere all’imprevedibilità diventa necessario.

La sua, un’eterna giovinezza, e non perché superbo di sfidare l’età che avanza, ma perché ancora suscettibile alla curiosità, alla capacità di meravigliarsi con l’entusiasmo di un ragazzo. A quarantatré anni oggi compiuti Buffon non dà segni di resa, e resta inamovibile tra le fila di chi ha tuttavia avversari blasonati da combattere.

Record di imbattibilità nel massimo campionato italiano, avendo mantenuto la porta inviolata per 974 minuti, l’unico insieme a Maldini ad aver superato la quota delle 1000 presenze in carriera: quella corrente è la sua ventiseiesima stagione da professionista, in cui si dimena dopo aver collezionato 10 scudetti, 5 Coppe Italia, 7 Supercoppe italiane, 1 campionato di Serie B, 1 Supercoppa e 1 Campionato francese, 1 Coppa Uefa e 1 Campionato del Mondo.

Salvo la parentesi francese al fianco di Cavani, Mbappé e Neymar nella stagione 2018/2019, sette anni di militanza al Parma e poi l’approdo in bianconero, dove vent’anni e venti trofei dopo, e un’ipotesi concreta di rinnovo contrattuale, Buffon ha ancora i guantoni invidiabilmente aderenti alle mani.

Non delle mani qualsiasi, ma le sue, porto sicuro dove attraccare nel mezzo della tempesta. Mani indomite, di un uomo diventato mito restando sobriamente autentico. Mani grandi, ma non abbastanza da nascondervi dentro la faccia quando si tocca il fondo, e le proprie fragilità restano gli oppositori più testardi da convincere, perché Gigi è stato ed è uomo, prima ancora che professionista, al servizio di una squadra e una nazione difese a spada tratta. Mani ferme, le sue, quando sfuggire al baratro seduce anche il meno impressionabile degli uomini, perché da padrone del mondo ha avuto la pertinacia di non lasciare la mano della Signora nel periodo più indigesto della sua storia. Qualcuno lo definirebbe servilismo, ma sono l’amore, il rispetto, la devozione e il pugno fermo i tratti che porta cuciti addosso. Per quanto sporadici oggi siano, sì, Gigi continua ad indossarli con fierezza.

Ci vuole il coltello fra i denti” dice dopo la prima in B, “C’è futuro per il calcio italiano, perché noi siamo caparbi, abbiamo forza e orgoglio, dopo le brutte cadute troviamo il modo di rialzarci” aggiunge dopo la mancata qualificazione dell’Italia ai Mondiali di Russia. Trascinatore in campo, leader nello spogliatoio, supporter in tribuna: Buffon è l’innata abitudine allo straordinarietà diventata ordinaria amministrazione, autore di una storia da tramandare alle postere generazioni.

Perché sarà anche vero che la testa è incline alla risolutezza, ma lasciamo pure che un predestinato come lui ci insegni ancora quanto sia bello sottostare alla vulnerabilità del cuore.

Gabriella Ricci

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