Se si esclude lo scorso anno, con l’esperimento (purtroppo fallito) del Boxing Day e la pausa a gennaio, sono tanti i ricordi legati al turno di campionato nel giorno dell’Epifania.
Pensando ai molti match disputati dalla Juventus in questo giorno di festa, non può non tornare alla mente quel 6 gennaio del 2004.
Già, quel giorno si giocava Juventus-Perugia, in una Torino gelida e innevata (anche se poco) e in un clima surreale, di festa. Perché surreale, vi chiederete? Perché quell’anno c’era poco da festeggiare. Fu l’ultima Juve di Marcello Lippi, una Juve da rifondare, che concluse il campionato al terzo posto, alle spalle di Milan e Roma.
Poi arrivò Capello e i bianconeri, dopo un solo anno di “purgatorio”, tornarono a vincere: ma questa, per il momento, è un’altra storia.
Quel 6 gennaio, però, fu il giorno di Pavel Nedved, che di fronte a un Delle Alpi totalmente ai suoi piedi, alzò quel Pallone d’Oro che tanto aveva meritato, nonostante quell’ammonizione beffa contro il Real Madrid, che lo costrinse a saltare l’amara finale di Champions League contro il Milan.
Come da copione, poco prima del calcio d’inizio, entrò in campo Pavel Nedved, in dolce e dorata compagnia. “Pavel Nedved ce l’abbiamo noi”, così intonava la Curva Sud durante la premiazione del calciatore ceco, visibilmente emozionato.
Ma il meglio doveva ancora venire. Proprio così, perché al minuto ventinove della prima frazione di gioco, su un pallone recuperato da Zambrotta, lo stesso Nedved, dopo una lunga galoppata partita da metà campo, scagliò un mancino formidabile da oltre venticinque metri. Un tiro al fulmicotone, che si insaccò sotto l’incrocio sinistro dell’estremo difensore avversario. Un goal da vero Pallone d’Oro.
Ecco perché, quando penso al turno dell’Epifania, non posso non pensare a Pavel Nedved. Tra lui e i tifosi della Juventus, fin da subito, fu amore, amore vero. Perché d’altronde, come recitava un famoso striscione che campeggiava nelle partite casalinghe dei bianconeri, “L’amore è ceco”.
Simone Nasso