Aurelio De Laurentiis e Carlo Ancelotti hanno imposto al Napoli un ritiro punitivo dopo la sconfitta contro la Roma. Tuttavia alla fine della partita di Champions League contro il Salisburgo i calciatori azzurri si sono rifiutati di recarsi nuovamente a Castelvolturno dando vita ad un vero e proprio ammutinamento, contattando anche i loro avvocati per difendersi da eventuali accuse della società.
Il comunicato ufficiale della SSC Napoli di oggi proclama la squadra in silenzio stampa sostenendo al contempo di voler “tutelare i propri diritti economici, patrimoniali, di immagine e disciplinari in ogni competente sede”. Se non è una dichiarazione di guerra ai propri calciatori, poco ci manca.
La verità è che uno scollamento così evidente tra società, allenatore e giocatori è assolutamente fuori dalla norma. Come è possibile che dei professionisti a libro paga, tra l’altro anche profumatamente, possano rifiutare i provvedimenti decisi dal loro datore di lavoro, seppure non condivisi?
Ma forse esistono altre domande da porsi: come può una società o, meglio, il Presidente di una squadra di calcio imporre un provvedimento che sa poter essere una bomba ad orologeria ad un gruppo in piena corsa per gli obiettivi stagionali e “colpevole” solo di una sconfitta di troppo?
Infine, come può un allenatore, consapevole di essere il necessario mediatore tra la società che rappresenta e il gruppo con cui lavora ogni giorno, condividere con chi di dovere (lo ribadiamo, De Laurentiis) una decisione che sarebbe stata controproducente per l’intera squadra?
Francamente, a queste domande non possiamo dare alcuna risposta. Possiamo però darne una ad un’altra domanda che ancora non abbiamo posto: alla Juventus tutto questo sarebbe successo? Ovviamente no.
La forza di una piazza è l’insieme di tante componenti: una società solida con personalità non inclini all’emotività eccessiva; strutture all’avanguardia capaci di attrarre nuovi sponsor e partner; un gruppo squadra che rema dalla stessa parte anche nelle difficoltà. Infine, capitolo a parte, vengono i tifosi, ma qui il discorso esula dalle nostre considerazioni.
Andrea Agnelli ha preso in mano la società dopo un settimo posto, portandola l’anno dopo ad un altro settimo posto. In quel funesto anno 2010/2011 ha rinforzato la squadra a suon di milioni con gli acquisti di Krasic, Bonucci e Quagliarella, ma quando i risultati iniziavano a non arrivare Agnelli non ha mai alzato la voce contro alcun tesserato della Juventus.
Da quel momento è iniziata la rinascita bianconera che ha portato agli otto scudetti consecutivi, ma nel corso del tempo non sono mancati i problemi.
Come dimenticare Lucio, acquistato a parametro zero dall’Inter e ceduto a gennaio per intemperanze comportamentali, di cui però nulla è emerso tanto da creare un caso sulla stampa. Oppure la sostituzione di Quagliarella a Milano, quando la punta campana polemizzò ampiamente con Conte venendo in questo modo emarginato dal tecnico: nessuno dei tifosi bianconeri ricorderà una riprovazione pubblica del comportamento dell’attaccante.
Dicasi lo stesso per Arturo Vidal, ceduto al Bayern Monaco forse per qualche intemperanza di troppo nella vita privata. “Forse“, appunto, perché di questo possiamo fare solo supposizioni. Infine, per arrivare al giorno d’oggi, le dichiarazioni alla stampa tedesca di Emre Can, escluso dalla lista Champions nel settembre di quest’anno ma ancora abile e arruolabile da Sarri in campionato, dove rappresenta una valida alternativa ai titolarissimi Khedira e Matuidi.
Dopo avere ricordato i problemi che hanno coinvolto i singoli calciatori, possiamo concludere l’excursus storico tenendo a mente il difficile momento vissuto dalla Juventus dopo la sconfitta di Sassuolo il 28 ottobre 2015, con una squadra in piena crisi di identità che navigava nei bassifondi della classifica. Dalla società nemmeno una parola contro il gruppo, che guidato dai senatori arriverà poi a 15 vittorie consecutive.
Abbiamo voluto ricordare tutto questo non per pura dialettica ma per sottolineare il differente comportamento nelle difficoltà da parte della Juventus. Sarebbe troppo facile dire che una squadra che viene da otto scudetti consecutivi non ha mai incontrato problemi che, se e quando si sono presentati, sono sempre stati affrontati all’interno del gruppo o della società senza provvedimenti pubblici o riprovazioni in sala stampa da parte di tesserati bianconeri.
Possiamo a ben ragione dire che stride totalmente il comportamento della SSC Napoli da quello della Juventus FC. Non possiamo nascondere una riflessione su tale problema sotto quel fantomatico “ambiente” a cui molti addetti ai lavori danno la colpa per le sventure della squadra che tifano. La colpa della diversità di comportamento sta negli attori che si rivolgono a quell’ambiente.
Questo è il motivo per cui il Napoli non sarà mai la Juventus. I protagonisti incarnano uno stile troppo diverso che a sua volta si ripercuote sulle aspettative dei tifosi, i primi a fare pressione su società e squadra. La passionalità napoletana è encomiabile e romantica, sintomo di un calcio antico e di un tempo ormai passato, ma non è un modo di gestire una società che fattura milioni di euro e che paga profumatamente i suoi tesserati.
Attacchi pubblici, rivelazioni a mezzo stampa su questioni di spogliatoio e mercato, continui riferimenti ad un sistema che vorrebbe il male solo e soltanto di Napoli: non è così che si crea un calcio migliore. Se poi si impone alla propria squadra un provvedimento tanto punitivo come il ritiro e questa procede all’ammutinamento significa che questo modo di fare non è neanche proficuo all’interno del gruppo che poi scende in campo.
Quanto questo stile di condurre il Napoli potrà durare lo sa solo De Laurentiis. Ma un consiglio glielo possiamo dare: così facendo il Napoli non sarà mai la Juventus.