I baci del karma sono esattamente come quelli degli addii: sai che ti faranno male, eppure quell’attimo ha in sé una bellezza struggente che non puoi ignorare. Maledetta sensibilità, forse: che di questi tempi è davvero abusata. E maledetti momenti, istanti, piccole disattenzioni che riscrivono finali già ampiamente impaginati e pronti alla stampa. Questo solo per ricordarci che basta un solo secondo, e un mondo crolla. Un sospiro di fatica e un altro di speranza. Un battito d’ali di farfalla, e Koulibaly porta il Napoli a meno uno.
Sì, meno uno. Non più dieci: ma meno uno. Nessun tricolore stampato altrove: ma meno uno. Meno uno. E quattro, solo quattro, da dover portare a casa. Che si fa? La si gioca. A testa alta. Con l’orgoglio di chi è stato ferito. Con la consapevolezza che il calo è drastico. Con la certezza che questa resta la squadra più forte.
Poi tutto il resto sono chiacchiere che riempiranno faccioni, giornali, sorrisi sornioni di chi una notte come questa la sognava da una vita. Il mantra non per questo deve cambiare, non per questo sarà diverso: “Non c’è bisogno di parlare, occorre solo lavorare. E con la testa bassa”. Allegri, che nel calderone ci finisce di diritto acquisito, aveva preso in ostaggio la verità più vera di tutte: non che sospettasse lo sfracelo di una testata violenta all’ultimo istante, ma qualcosa – come sempre – l’aveva intuita. In tasca non c’era niente: solo un biglietto in business verso la partita successiva. Toccava ricordarselo.
E forse ora è arrivato il momento giusto. Di sicuro è quello decisivo: si può andare di banalità? Sono quattro finali. Belle, entusiasmanti, clamorosamente difficili nelle insidie che nascondono e che palesano. Sono quattro finali: ma non di quelle con cui ha poca familiarità questa squadra, tutt’altro. Sono partite alla portata, tutte. Forse Roma è un tassello diverso: ma Cappuccetto bianconero, dal lupo, ci è finito da solo. E allora tocca tenere duro.
Disunirsi vorrebbe dire fare il gioco degli azzurri: che adesso sorridono, che pure festeggiano. A meno uno, sempre a meno uno. Tenendo, per una notte, la classifica e i calendari lontani dalla realtà dei fatti: hanno vinto a Torino, è lecito e giusto che festeggino il vero traguardo. Ossia essere arrivati a giocarsela. E no, non l’aver vinto. Quello si decide più avanti: quando il fiato sarà corto e la testa dovrà obbligatoriamente essere l’arma in più.
Da adesso in poi cambia nulla per cambiare tutto, o viceversa se preferite. Da adesso in poi ci sono 360 minuti: che pure è un segno, se ci pensate. Fossero stati gradi, avrebbero descritto alla perfezione questo finale di stagione. Ma non lo sono: e sapete perché? Perché non è cambiato niente. La Juve è avanti, ha in mano il suo destino, il suo domani, la sua voglia matta di arrivare a vincere. Fino alla fine. Il dolore di una notte è fisiologicamente portato a scomparire dopo la prima gioia; la gloria di una vittoria, invece, dura in eterno. Ora la Vecchia Signora deve far sì che la storia conti più di ogni altra cosa. Anche dopo quel treno chiamato Koulibaly, che ha messo sotto un po’ di certezze.
Cristiano Corbo
This post was last modified on 23 Aprile 2018 - 20:20