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Crotone è un sacco di cose. Crotone è il colpo della sorte che ti chiede qualche vizio indietro; Crotone è la paura di Allegri e il non gioco di certe notti dai cuori chiusi. Crotone è un po’ di arrendevolezza e piccoli impeti di sofferenza, da cui non riesci a schiodare il pensiero. Crotone però è essenzialmente una serie di domande esistenziali: quelle che poni a te stesso con la faccia tosta dei giorni difficili, quelle con cui devi fare i conti dopo un paio di spaventi, e un’attesa praticamente finita, e un anno diverso da tutti gli altri.

Ma diverso in cosa? Nell’approccio, talvolta; o forse soltanto nell’atteggiamento. Divorare le partite era un clamoroso must di una squadra con fame chimica da eccesso di giocate stupefacenti, oggi invece c’è una sporca tendenza a sentirsi superiori. A lasciare il gioco in mano ai giocatori nel nome del ‘tanto accadrà in ogni caso’.

SENZA I PILASTRI

Partiamo subito: non è una giustificazione. Non è neanche un tema, se vogliamo. Ma è la realtà dei fatti: senza Chiellini un po’ si fa fatica lì dietro, un po’ di più. E in partite così chiuse, l’estro di Pjanic può aprire varchi che con Marchisio – con il Marchisio in questo stato di forma – o Bentancur fai fatica a trovare, vedere, pensare. Son venuti meno i pilastri, semplicemente? Può essere una chiave di lettura, non una scusa. Col Crotone la porti a casa anche senza due dei quattro, cinque punti solidi su cui si appoggia la Juve nelle situazioni particolari e un po’ paradossali.

Poi chiaro: arriva Simy, in rovesciata, dall’alto dei suoi quasi due metri e qualche discorso perde di senso logico e importanza, mentre qualche altro chiacchiericcio si prende il palcoscenico e si fionda sulla ‘x’ segnata in mezzo alla scena. Partendo con le solite domande sullo spessore psicologico di questo gruppo: è quello dei tre gol al Bernabeu o del pareggio difficile di Ferrara? Chi ha la risposta in tasca, la conservi pure: è un cimelio preziosissimo.

HIGUAIN&DYBALA

Comunque la vera domanda non è tanto sul ‘cosa sia mancato a Crotone’, ma sul ‘chi’: e ormai si è capito. La Juve è la Juve: in grado di vincere a Madrid, a Londra, quasi agilmente al San Paolo. La Juve è la Juve, sì: però solo finché tutto si muove in funzione della Signora. Ossia quando tutti i giocatori si prendono il loro posto nell’elenco delle cose da fare, e poi – pragmaticamente – le fanno. Senza perdersi in interventi, senza nascondersi tra la folla, senza preoccuparsi solo quando le cose iniziano a girare nel verso sbagliato.

A Crotone, forse, è semplicemente mancato l’apporto davanti: Dybala era un alieno braccato da una difesa attenta e organizzata, Higuain ha invece riaperto i conti con un po’ di casi interni: non incide più in un’economia di gioco che paga il ribasso del caldo, della stanchezza, degli impegni troppo riavvicinati. E nel momento più importante, entrambi gli argentini rischiano paradossalmente di essere uomini in meno.

LA MANO DI ALLEGRI

E vai a gestirlo, tutto questo. Questo che è il tempo di Allegri per eccellenza. Lui che annusava puzza di stop da giorni, che come lui nessuno conosce i giocatori, l’ambiente, il sole che c’è in questi allenamenti a Vinovo. Si è preso tutto: responsabilità, colpe e colpi. E si è preso soprattutto le pile scariche di una stagione che, comunque vada a finire, è stata più lunga delle altre. Meriti del Napoli, certo. E meriti della Juve, pure: qualche frenata improvvisa a parte, certe cavalcate restano dispendiose anche se sono ritenute ormai scontate.

Forse sta tutto lì, l’errore: forse sta nel credere questa squadra in grado di prendersi gioco del dio del calcio e di non subire gli uomini, il tempo e la fatica. In realtà, questa è la Juve più umana di tutte. E partite così fanno ancora più apprezzare quanto di clamoroso stia accadendo.

This post was last modified on 20 Aprile 2018 - 08:40

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