Dybala ha quel volto lì. E tu puoi avere anche otto lauree in lettura delle persone: niente, non lo capisci. Non capisci quello che pensa, come lo pensa, perché lo pensa. Non sai ad esempio che questi giorni qui, quelli subito dopo il Real, sono stati infernali. D’un cupo allucinante. E no, non c’entrava neanche tanto quell’espulsione così ingenua quanto sacrosanta, né l’occasione sprecata che non gli ha certamente eliminato gli strati di brillantina spalmati con poca cautela sul suo talento: sono stati i dolori interni ad aver scosso pensieri, riflessioni, decisioni. Tutto tranne il volto: quello e solo quello è rimasto imperscrutabile.
Ma i giorni difficili sono fatti per essere superati, per guardarsi indietro come si fa dopo una salita ripida percorsa velocemente per non sentire la fatica. E dalla cima di una tripletta, il paesaggio di una settimana di passione ti sembra meno catastrofico, sicuramente più umano. Umano come Dybala.
DYBALA COME TUTTI NOI
Perché alla fine Paulo è un ragazzo. Lo è nel bene e nel suo talento, lo è nel male e nei suoi momenti particolari. Come tutti ha una voglia matta di spaccare il mondo, di non lasciare conti in sospeso con quel dono che il destino gli ha regalato. Come tutti, ha una storia che certe volte prevale su tutto il resto, ché provare a controllarne gli istinti serve a poco se la testa è ormai in coda sulla tangenziale che porta inevitabilmente verso la paura di aver fallito. Ancora una volta, poi. Ancora in Europa.
Ecco: se c’è stato un tipo di dispiacere che più gli ha pizzicato in gola, è stato proprio questo. Ossia: l’essersi reso conto che certi fantasmi non li ha cacciati del tutto. L’aver realizzato di non essere ancora diventato macchina, ma semplicemente un umano dagli straordinari poteri. Una sconfitta, se miri ad essere Superman. Se vuoi esserlo sempre e comunque. Se poi ti rendi conto che probabilmente non potrai mai diventarlo.
I NUMERI DA SUPEREROE
Eppure, il sorriso si spalanca nel momento in cui ha da fare i conti con se stesso: e tipo i gol sono arrivati a quota 25. Venticinque. E già farne venti era un piccolo target in cui aveva messo speranze e desideri del nuovo anno, figuriamoci portare a casa la terza tripletta di questa storia insaporita dallo sguardo concentrato con cui ha battuto due volte Puggioni.
Venticinque, sì: che sono la somma di ventuno in A, uno in Champions e un altro in Coppa Italia, oltre ai due in Supercoppa che ancora brancolano in un destino disegnato da qualcuno che proprio non gli voleva bene. In totale fanno 67 in 132 partite in bianconero: pochissimo più di un gol ogni due partite. E se non sei un bomber di professione e di pura razza, questi son numeri che pesano. E che fanno volare, poi. Proprio come Superman: così invincibile, così potente, così incredibilmente impeccabile. Così impermeabile ai cattivi pensieri e alla paura di sbagliare. Che alla fine il cruccio sta tutto lì: basta sapersi accettare, nel tempo. E aspettare, e bastarsi. E gioire di quel piccolo, grande regalo che la vita ti ha fatto: un sinistro fatato e un’intelligenza calcistica che conta sulle dita di una mano la cerchia dei propri simili.
La kryptonite non sta mica nelle notti europee, Paulo: vive solo nei pensieri più cupi. E quelli purtroppo non li sconfiggi: puoi solo accoglierli, prenderne atto, conviverci serenamente. Accettarli, in fondo. Che sono parte di te, che ti rendono umano. Che ti trasformano in Paulo, quel ragazzo dal volto beffardo che con il Benevento è arrivato a 25 gol stagionali. Venticinque. Da usarli come trampolino per il definitivo salto di qualità.
Cristiano Corbo