SCILLA E CARIDDI

Domenica pomeriggio di shopping e crepuscolare noia, pensando alla settimana lavorativa, trascorsa nel calduccio dei sempre più diffusi enormi centri commerciali, dei non-luoghi che, grazie proprio a questa inappartenenza, possono infondere rilassatezza, in attesa della serale partita. Ma accade il previsto, e forse non creduto, una fine e fitta nevicata che nel giro di pochi minuti ricopre l’intera città, la vista è precaria e la decisione è saggia: rinvio della partita. Ciò permette al Napoli di essere a +4 sulla Juventus. Ma il candore caduto sullo Stadium, costringe a qualche riflessione non legata al campo. Se il nostro apprezzato allenatore dovesse andare via, Dio non voglia, bisogna trovare una giusta e valida alternativa. Partendo dal principio che vorrei Allegri ancora per molti anni sulla panchina della Juventus, l’unica opzione da prendere in considerazione per sostituire l’allenatore toscano è Pep Guardiola, insomma, se Allegri non dovesse farcela, nonostante ci sia andato già due volte vicino, a vincere la “maledetta” Champions League, bisogna investire il più possibile in un mister che l’abbia già vinta e che infonda nei calciatore il giusto timore durante una finale. Il problema sta proprio in questo, oltre nella forza negli avversari, ma si sa che in una partita secca possono essere stravolti i rapporti di forza, i giocatori della Juventus, anche se da un anno in squadra, inspirano, a pieni polmoni, le innumerabili finali perse; ciò provoca un terrore che s’esprime in tremore alle gambe, in una tensione smodata di nervi (s’è visto nell’ultima finale). Ecco allora che ci vuole un allenatore che sappia trasmettere il giusto timore. Lo stadio e l’avversario della finale sono divenuti per la Juventus due mostri, Scilla e Cariddi, che spaventano, ma hanno un’attrattiva arcana, perché divenuti come il numinoso e il misterioso: la finale riassume il sublime, quel potente sentimento che si prova di fronte a un mare in tempesta di attrazione e paura, ciò è nei cuori dei tifosi juventini, divenendo un’ossessione, la stessa sensazione che cola nell’anima guardando l’ignoto e il mostruoso; la finale incarna per gli juventini la paura più recondita, il pericoloso e il perturbante mistero, la profondità dell’abisso, in cui vorrebbero gettarti Scilla e Cariddi, ma è l’attraversamento di questi mostri che incita l’impresa, solo l’atto di contrapposizione con lo spaventoso può condurre alla vittoria. Se non sarà Allegri, potrebbe esserlo Guardiola che nel suo gioco sa esprimere l’eleganza del calcio spagnolo e la concretezza difensiva del calcio italiano, impostando una squadra capace di una fitta rete di passaggi e un pressione alta sui portatori di palla avversari.

Antonio Melillo

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