Il derby si è concluso e, per il Torino, non è andata molto meglio dell’ultima volta, anzi. I granata escono per la seconda volta con le ossa rotte dalla stracittadina, ma con una certezza in più: il vero problema, oltre alle pesantissime assenze di Ljajic e Belotti, è l’allenatore. La squadra è priva di identità, confusa ed immersa nel caos, annullando in partenza quello che poteva essere un derby più che dignitoso.
La differenza è stata abissale, marcata ancor di più da una Juve che sembra aver trovato una quadratura: ordinata, bella e pungente. E una menzione particolare non può che non andare al metronomo della squadra, Miralem Pjanic.
Il bosniaco è stato pressoché perfetto: mai un passaggio sbagliato, sempre al posto giusto, neanche una sbavatura. Allegri aveva visto lungo e Miralem si sta trovando talmente a suo agio che neanche ci si ricorda più del periodo iniziale. Il 63% del possesso palla stasera, tanto per citare un dato, è passato per la maggior parte dai suoi piedi e dalla sua testa, ma la sua evoluzione non si può ridurre a questo.
I troppi gol subiti, le lacune difensive e il centrocampo che arranca sono solo vecchi ricordi. Tutti stanno dando qualcosa in più, soprattutto lui. Abituato a giocare vicino all’area di rigore avversaria, Pjanic ha avuto la forza e la bravura di ridimensionarsi a 27 anni, cambiando quasi ogni singolo aspetto del suo modo di giocare: stare più lontano dalla porta, prendere palla a ridosso della propria area, essere paziente, coprire e via dicendo.
Stasera, complice una prestazione deludente del Torino, si è visto tutto questo. Miralem è finalmente (e completamente) rinato.