Non in un’aria di vetro come Montale suggerirebbe, ma in uno stadio – che poi è un teatro – completamente baciato dal sole. In quel caldo pomeriggio di maggio (domenica 8, per la precisione), le due squadre più forti d’Italia si giocavano uno scudetto che la Giustizia sportiva, poco più di un anno dopo, avrebbe deciso di non assegnare a nessuno. Quel pomeriggio, però, quello scudetto lo vinse la Juve: o meglio, se lo cucirono sul petto Del Piero e Trezeguet.
Si tratta di una definizione forte, è vero, ma quanto significato c’era in quel gol? L’annata di Del Piero era stata caratterizzata da tante, troppe pagine di giornale che ne sottolineavano il non idilliaco rapporto con Capello, ma nelle partite importanti il Capitano non ha fallito davvero mai. D’altra parte, Trezeguet mancò in parecchi incontri di quel 2004-2005, per via di un infortunio alla spalla che lo mise fuori causa ad Udine. Del Piero e Trezeguet sono stati di gran lunga la coppia più prolifica ed affiatata della storia della Juventus. E vederli segnare un gol di tale fattura, di tale importanza, di tale bellezza ha in sé sicuramente una connotazione commovente. Che prescinde dal campo, che mette in secondo piano il campionato.
Del Piero + Trezeguet = Juventus dal 2000 in poi, per ridurre il tutto ad un’equazione chiarificatrice.
E quella del pomeriggio dell’8 maggio è stata una splendida rivincita per entrambi, sintetizzata in quell’abbraccio sincero che andava a suggellare un’amicizia profonda prima che un rapporto professionale. La rovesciata di Del Piero è da sindrome di Stendhal, il colpo di testa di Trezeguet è la sintesi del “volare sempre più in alto che si può”. Dida è battuto, la rivincita della finale di Manchester è servita. Lo scudetto è bianconero, ma solo per un anno. Quel gol, invece, rimarrà sempre negli annali del calcio italiano: la sfida, adesso, è trovarne uno più impregnato di juventinità.
This post was last modified on 28 Ottobre 2017 - 14:53