22 settembre 2012, ergo esattamente 5 anni fa. Una tempesta (perfetta, aggiungerebbe il collega/rivale Carlo Pellegatti) si abbatteva – fiera e sicura di sé – sul mondo juventino, sconvolgendolo come da tempo non accadeva. In positivo, s’intenda. Paul Labile Pogba era un ragazzone di cui si diceva un gran bene: “viene dal Manchester United, si è lasciato poco bene con Ferguson, può essere il nuovo Pirlo“. Ad Old Trafford ci è poi tornato, ma il nuovo Pirlo non è mai stato. Molto diverso, ma molto più di quanto ci si aspettava.
ESTRO DA NUMERO 10
Primi calci al pallone, timidi, in un trofeo Berlusconi come tanti altri. Bei lanci, bei tocchi, personalità da vendere. Farà strada questo qua, ma diciamolo a bassa voce che sennò porta male. Poi ci sono Vidal, Pirlo e Marchisio, vai a vedere che sarà una meteora qualsiasi… E invece. Arriva con l’etichetta addosso di erede designato del numero 21, ma il suo allenatore (Antonio Conte) intravede qualità di cui non si era accorto praticamente nessuno. Il francesino ha un tiro spaventoso, pettina il pallone come i più delicati trequartisti e potrebbe essere sicuramente decisivo qualche metro più avanti. Magari accentrandosi dalla sinistra: perché no?
Il 22 settembre 2012, dicevamo. Quel giorno si gioca Juventus-Chievo, un post Champions come tanti altri. O forse no. Perché Quagliarella aveva appena agguantato un punto a Stamford Bridge, certo. Perché Sorrentino parava tutto il parabile, sicuro. Fino ai due squilli di Quagliarella, appunto. E ci vogliamo mettere pure una comparsata dell’ex interista Lucio? Mettiamocela, perché era la serata adatta. Ma le attenzioni dei più (e come dar loro torto…) erano concentrate sul numero 6.
E FISICO DA CENTROMETRISTA
Alto, possente, con una fierezza introvabile per un ragazzo di 19 anni. Alla fine, l’esordio fu “normale”, soprattutto in relazione a quanto fatto vedere dopo. Partita pienamente sufficiente nel cuore del centrocampo e una pacca sulla spalla meritata per Marotta e Paratici, che ci avevano visto ancora una volta lungo.
L’etichetta di nuovo regista bianconero, però, non convince Conte. Ok, tocchi bene il pallone, ci dai ordine e fisicità, ma puoi spaccare il mondo se ti fai un po’ più in là. Qualche panchina, qualche ingresso a partita in corso, poi un gol. E che gol! Il Napoli si inginocchia (la prima di tre volte) a Paul, che dà sfogo al suo sinistro, il piede meno buono (ma davvero?). I tifosi sono increduli, iniziano presto a convincersi di aver trovato un nuovo tesoro da custodire gelosamente. Da lì in poi, è accademia pura per il francese. Gioca come vuole e dove vuole, ringrazia Conte per averlo scoperto in una nuova posizione e decide che incantare un moderno museo del calcio come lo Juventus Stadium non è poi così male.
“NON SI VENDE POGBA”
Tant’è che, a ridosso di ogni estate, i 40.000 dello stadio bianconero – impauriti per le possibili decisioni di calciatore e società – intonavano sempre e solo lo stesso coro: “Non si vende Pogba!“. La Gazzetta, addirittura, parlava di petizione: coinvolgere tutto il popolo juventino per convincere il giocatore. Cose dell’altro mondo e, ovviamente, mai realizzate.
Pogba, dopo 4 stagioni di successi, è tornato a casa. Il Manchester United lo ha convinto con progetto, blasone e tanti soldi e, dopo un inizio non entusiasmante, il ragazzo sta rivenendo fuori. Come ha sempre abituato. E come ha sempre promesso.
Da futuro Pallone d’oro. Da eroe, giovane e forte. Giovane e bello. Perché a Torino – di eroi così – non se ne son visti poi così tanti, negli ultimi tempi.