Italia-Israele è stata noia, speranza e campanello d’allarme

Tutte insieme, come se fosse stato un festival delle sensazioni. Uno di quelli antidiscriminatori: che c’è posto per tutti e tutti vengono più o meno volentieri. Al Mapei si costruisce un domani con vista playoff (con l’aiuto della Macedonia), ma allo stesso tempo si sfaldano le basi di un futuro che non ha grosse luci e forse nemmeno lunghissimi momenti di buio: tant’è, con gli alti e bassi di questa Nazionale s’impara a non aspettarsi niente. Sennò sei fregato.

Fregato quasi quanto Ventura e il suo nuovo, probabilmente giusto, rapporto con la stampa: lui insiste, ma han ragione i detrattori. Non per una questione di modulo, quanto per un sottofondo di coerenza che il CT proprio non riesce ad annusare: tocca schierare quest’Italia per quel che è, un operaio che arriva degnamente a fine mese. Però un operaio. Non un professorone, né un medico, tantomeno un ballerino di tango o un lottatore professionista di arti marziali.

L’Italia si veste di presunzione, ancora. Lo fa contro un avversario debole che ha i suoi momenti di illuminata professionalità, di ponderato talento. Di lucida armonia. Che non può non approfittare del bagliore fastidioso che solo certe luci mezze spente sanno regalarti. È che Insigne su quell’out mancino è un regalo agli avversari, Candreva sfonda per una sola volta in tutta la partita e arriva il gol. Nel mezzo, un sacco di niente: ogni riferimento a Verratti è puramente voluto.

Il fatto che il problema si sia ripresentato, sebbene in altra forma, vuol dir poco: sono stati commessi nuovamente gli stessi errori. Anzi: altre domande sono arrivate a galla. Del tipo: perché non Rugani? Oppure: perché continuare con questo sistema di gioco? Perché non aggiungere un centrocampista a partita in corso, una volta vista la quadratura israeliana sugli esterni? Questioni che resteranno irrisolte perché così devono, perché così fa comodo. Perché poi se ne riparlerà alla prossima pausa, neanche ai prossimi stages. E fa nulla se alla prossima sarà già troppo tardi.

Tra le mura di Coverciano filtra di tutto, ma non filtra evidentemente una svolta, una scossa. Un discorso che dia speranza per quel torneo in Russia che va sudato fino all’ultimo istante. Che poi non è quello il problema, dei playoff si sapeva nel momento stesso in cui l’urna ha avuto l’ardire di presentarci la Spagna. Resta come affrontarle, certe partite. E come sconfiggerli, certi momenti. Se l’Italia non ha neanche la testa, non ha materialmente nulla. Di sicuro non la magia degli ultimi Europei, nonostante il tasso tecnico infinitamente inferiore.

Italia-Israele è stata la noia della sterilità offensiva, la speranza dei primi minuti e di una reazione che non è però mai arrivata. Infine, un campanello d’allarme fastidiosissimo: le gambe non girano, gira tutt’altro. Non solo a Ventura.

crico

Gestione cookie