L’allenatore della Juventus Massimiliano Allegri, sul portale “The Player Tribune“, ha rilasciato una lunga dichiarazione che ha toccato punti ormai noti della sua carriera, tra Cardiff, la sua storia in bianconero e la sua passata vicenda al Milan poi finita male.
Nel corso della finale maledetta, mister Allegri racconta di aver avuto un lampo di ottimismo che gli ha fatto credere per un attimo di poter ribaltare la situazione e potersi portare a casa la coppa, in occasione del gol strepitoso di Mandzukic in rovesciata che aveva riportato la gara sull’1-1: “Quando ho visto che il tiro di Mandzukic si stava infilando alle spalle del portiere del Real Madrid ho pensato: “Wow, forse forse…”. Poi quando la palla ha toccato la rete mi sono detto: “Ok, forse è la volta buona”. Nella mia testa è un gol che non si può ripetere“.
La delusione e i dubbi sul futuro
Poi il secondo tempo ha spento il sogno, ha riportato tutti con i piedi per terra e, anzi, ha fatto precipitare la Signora e i suoi tifosi in un incubo straziante che sarà difficile dimenticare: “Dal secondo tempo ho capito che non avevamo i mezzi o gli strumenti che ci servivano. Avevo due giocatori che faticavano a stare in piedi per colpa dei loro infortuni e il Real Madrid ha giocato una partita intelligente. Hanno giocato rilassati in piena consapevolezza. Per arrivare in finale serve talento e fortuna. Per vincere devi essere la squadra migliore. E questo può sembrare strano perché quando ho lasciato il rettangolo di gioco quella notte sapevo che noi non eravamo la squadra migliore“.
E la delusione non può che portare a compiere pensieri e ragionamenti importanti e decisivi per il proprio futuro. Avere la consapevolezza su ciò che si vuole realmente fare è sintomo di chiarezza e di strategia per il miglior futuro possibile, per Allegri in questo caso specifico, e in generale per la Juventus: “Ho pensato se era questa la pagina finale della mia storia alla Juventus e una parte di me spingeva per recarmi in sede lunedì e rassegnare le dimissioni. Poi ho pensato a che cosa mi ha portato a fare l’allenatore e sono tornato con la mente a quando avevo 14 anni. Non pensavo a nulla se non a divertirmi e odiavo stare in classe. Mi dicevo: non sono fatto per essere un buono studente, ma posso essere un bravo insegnante. Anche quando ero un calciatore da ragazzino volevo essere il maestro. Però ripensando alla mia infanzia, a mio padre che era un agricoltore, alla passione che ho nell’insegnare calcio, nel migliorare i giocatori, ho deciso di restare: perciò la mia decisione sul futuro è diventata molto personale. So che ho ancora molto da dimostrare e da insegnare“.
Il fallimento al Milan e il riscatto alla Juve
Gli anni passati in rossonero per Allegri sono riassumibili nell’esonero finale che gli ha fatto concludere quell’esperienza. Un fallimento vissuto male e con grande rammarico (anche se è necessario vedere qual era l’ambiente milanista di allora, senza più senatori e con un a società non più forte come un tempo): “Quando penso al giorno più importante della mia vita non penso agli scudetti o alla Champions League. È stato quando sono entrato negli uffici del Milan e sono stato licenziato anche se non è stata una sorpresa. Sapevo che sarei stato esonerato. Sono stati rispettosi nel dirmelo, ma questo non mi ha evitato lo sconforto. Gli esoneri sono parte del lavoro, ma nulla ti può togliere, nel tuo cuore, il fatto di aver fallito“.
Poi l’approdo a Torino dopo le dimissioni di Conte, e l’inizio di una nuova era, tra incertezze e dubbi iniziali, e riconferme a livello nazionale e internazionale: “Quando sono arrivato alla Juventus tre anni fa, non ho cambiato molto all’inizio perché il club arrivava da tanti successi con Conte. Ma lentamente, insieme all’arrivo di nuovi giocatori sono passato oltre costruendo una squadra come la vedevo io. Più forti in attacco e più flessibili in difesa“.
La Joya e il Numero Uno come punti di riferimento
Parlando della Juve attuale, Allegri esprime la sua opinione su due pedine fondamentali della sua scacchiera: “Quando guardo Dybala e Buffon penso a loro come i simboli di questa squadra. Dybala è un ragazzo brillante che deve iniziare il suo quinto anno a scuola. Buffon invece deve prendere il Master in vista del Mondiale. Uno la cui carriera è in rampa di lancio, uno che vuole lasciare un’eredità importante al termine della sua“. Per entrambi questo sarà un anno di svolta in ogni caso: a Paulo spetta il fardello della maglia più importante a cui un giocatore della Signora possa ambire, la numero 10; per Gigi è la chiusura di una carriera che non ha bisogno di presentazioni e di ulteriori parole, ma solo di immenso rispetto e gratificazione.
Dimenticare Cardiff è la medicina giusta per ripartire da tutto ciò che di buono si è fatto, e alla vigilia del cinquantesimo compleanno, non c’è modo migliore per progettare alla grande la stagione che sta per cominciare: “So che potremo lavarci via di dosso le scorie di Cardiff e fare anche una grande Champions League. Perciò ora proveremo a mettere in scena una nuova opera. La cosa buona della prima della Scala è che ogni anno c’è uno show differente“. Chissà che lo show del prossimo anno non abbia il finale che tutti desiderano nell’ambiente bianconero.