La notte di Cardiff provoca ancora un colpo al cuore ai tifosi bianconeri. Le reti di Ronaldo sono state le sentenze che hanno messo fine a un sogno che milioni di juventini speravano potesse diventare realtà. No, la ferita non è cicatrizzata. E non lo sarà per un bel po’, perché stavolta tutti ci credevano per davvero.
Non è da Juventus arrendersi. Il lato positivo del 3 giugno è che il giorno dopo si è aperta una nuova stagione. Un po’ di vacanza per i calciatori, lavoro incessante per i dirigenti per migliorare ancora una squadra capace di stupire in Italia e in Europa. Sembrerebbe dunque una normale estate. E invece no; perché se l’anno scorso è stata l’estate della svolta dal punto di vista del mercato, con gli arrivi di tantissimi top player, quest’anno deve essere quella dell’upgrade mentale. Perché la Champions League non deve essere più un sogno da cullare.
Marotta è stato chiaro: “La Champions League è una coppa che vogliamo portare a casa”. Una presa di posizione definitiva, ma soprattutto lecita. Le big d’Europa, le uniche a poter stare al passo della Juventus, non si pongono limiti. Il Bayern Monaco, il Real Madrid e il Barcellona non hanno mai etichettato la più grande manifestazione europea per club come un sogno, un di più, ma come l’obiettivo primario della loro stagione. Più del campionato o della coppa nazionale. Come normale che sia. Alla Juventus, invece, la Champions è stata sempre vista come un miraggio da poter raggiungere soltanto con dei miracoli. Non è e non deve essere più così.
Nello spogliatoio di Roma, dopo la finale di Coppa Italia vinta ai danni della Lazio, il gruppo bianconero festeggiava cantando: “Ce ne andiamo a Cardiff”. Scene uguali, ma con finale di coro diverso, erano accadute nel 2015 (l’ultimo atto era a Berlino). Cosa c’è da festeggiare nel raggiungimento di una finale? È un passo verso l’obiettivo, ma non è il traguardo. È come se un maratoneta iniziasse ad alzare le braccia a 1 km dal traguardo, testa a testa con un avversario. O come se un pilota di Formula 1 alzasse il pugno al muretto prima dell’ultimo giro, con il rivale pronto a superarlo dietro. Il raggiungimento della finale di Champions non è, di per sé,un target da festeggiare. Per la Juventus deve essere la normalità, non un evento. È questo il passo in più da compiere.
Berlino e Cardiff hanno rappresentato due tappe diverse, per percorso e anche per tipologia di match affrontato dalla Juventus. Entrambe le finali perse, però, hanno un comune denominatore: l’approccio psicologico scarso della squadra. Non è un caso che a Berlino la luce si sia accesa dopo un tempo e a Cardiff sia rimasta accesa solo nella prima frazione. I giocatori sono cambiati, la mentalità no. È un qualcosa che arriva, forse, da dentro, dall’ambiente Juve. Come quella voglia di vincere di cui parlano i nuovi acquisti, di cui ha parlato Higuain quest’anno. Un timore reverenziale verso le altre big, come se fossero sempre gradini avanti. “Andiamo avanti per continuare a cullare il sogno” – è la frase standard dei giocatori della Juventus ogni qualvolta si supera uno step verso la finale europea. È accaduto nel 2015 e nel 2017. Perché la Juve dovrebbe avere meno ambizioni delle altre squadre?
This post was last modified on 7 Luglio 2017 - 14:38