Quattro giorni dopo, fa ancora maledettamente male. Tutto. La sconfitta sul campo, bruciante, sonora, inappellabile, e la sconfitta in piazza, dove la paura ha regnato sovrana in corrispondenza degli ultimi scampoli di un incontro che ormai volgeva verso un finale grigio, anzi nero, nerissimo. Adesso è finito tutto. Sta passando il tempo, che guarisce ferite fisiche e morali: le lacerazioni di chi era in piazza si stanno chiudendo, anche il piccolo bimbo cinese sembra stia fortunatamente meglio, e i tifosi in generale stanno metabolizzando l’ennesima finale persa. Insomma, a distanza di qualche giorno, è tempo di azzerare il sistema.
PIAZZA SAN CARLO
Non vi annoieremo ancora con l’ennesimo racconto di quanto accaduto, ne avrete già letti e sentiti in ogni dove. Ma chi scrive era lì, oltre che con le migliaia di tifosi presenti, insieme ai colleghi di SpazioJ e di tante altre testate giornalistiche a raccontare una festa, che poteva essere una potenziale apoteosi e che stava invece lentamente diventando un dramma sportivo. Ma che si è tragicamente trasformata in un dramma umano. La paura personale si sommava a quella negli sguardi degli altri. Una buona fetta di tifo juventino in quella piazza, da ogni parte d’Italia, come se fosse una partita in casa, e forse anche la scarsa conoscenza della città ha contribuito ad aumentare il panico nei momenti critici. Tanti amici e conoscenti risentiti nei minuti, nelle ore, nei giorni successivi, tutti a raccontare soprattutto della grande paura. E qui serve il “reset” più difficile. Addormentarsi senza lo sguardo spaventato di chi ti corre vicino, senza il sangue calpestato sotto i portici, senza la stretta forte al braccio di chi si aggrappa a te per non rimanere solo, senza il tremore del ragazzo che aiuti a far distendere la fidanzata svenuta. Senza paura. La difficoltà maggiore, per assurdo, sarà ripartire sapendo che l’attentato non c’è stato, che l’evento scatenante è stato “niente”, coscienti che il terrorismo è (anche) questo. Aver paura anche del vicino di casa, vivere nel sospetto, non sentirsi sicuri mai da nessuna parte. Siamo stati fortunati, qualcuno più, qualcuno meno, ma poteva andare anche molto peggio. Superare una paura, infondata che sia, è una delle sfide più grandi che deve affrontare l’essere umano. Come detto, il tempo sanerà il tutto.
LA SQUADRA
Il lato prettamente sportivo della vicenda impone un altro “reset”. La testa va staccata, adesso sì, per ricaricare le energie fisiche ma soprattutto mentali e ripulirsi dalle scorie dell’ennesima finale persa, la quinta consecutiva. 1997, 1998, 2003, 2015, 2017: le abbiamo scolpite nella mente. Una sciagura. Il nostro Direttore Nicola Frega ha giustamente rifiutato di parlare di maledizione. E’ stata staccata la spina troppo presto, il “reset” era da fare adesso, non prima della partita. Il secondo tempo di Cardiff ha lasciato tutti interdetti per la pochezza del gioco espresso, e anche delle gambe molli dei giocatori. Molti sono sembrati irriconoscibili, ben lontani dall’essere determinanti come avevano fatto in campionato e nello stesso percorso meraviglioso di Champions fino a sabato. Oggi sono state ufficializzate le maglie nuove ed è appena uscito il comunicato del rinnovo dell’allena
Dario Ghiringhelli (@Dario_Ghiro)
This post was last modified on 7 Giugno 2017 - 18:36