Il giorno dopo una grande delusione è sempre il più difficile da affrontare. E magari la notte è stata anche insonne. Tutto sta nel fatto che, a causa di una serata trascorsa con le lacrime agli occhi, ci si affida proprio alla notte per ripulire la mente dai brutti pensieri. Ma, il più delle volte, accade l’esatto contrario: al mattino dopo, se possibile, ci si sente ancora più tristi e delusi.
La sensazione diffusa all’interno della tifoseria bianconera è che puntualmente, dopo ogni momento negativo, ci si sente soli. Soli con la squadra, soli con i ricordi legati ad essa. In tutti coloro che hanno scelto di supportare questa squadra sempre e comunque è presente un profondo sentimento d’orgoglio: impossibile voler male a questi ragazzi dopo questa lunghissima cavalcata. D’altra parte, però, la delusione è cocente: questa sembrava davvero la volta buona e il non esser riusciti a prevalere dà quasi un senso di inettitudine. È una maledizione, verrebbe da dire. E come ha – giustamente – titolato La Gazzetta dello Sport.
Essere juventini, ormai, è come far parte di una setta segreta: si provano emozioni che gli altri non comprendono, nel bene e nel male. E, dopo ogni sconfitta, il mondo non bianconero sta bene. Sta bene perché ha raggiunto un obiettivo, magari l’unico della sua stagione. Sembra retorica, non lo è: i passi falsi della Juventus sono l’occasione più adatta per unire gli italiani. Maglie del Real sparse in casa, trombette scatenate al momento dei gol, post di soddisfazione diabolica al momento del fischio finale. E il bello è che anche chi il calcio non lo segue mai diventa tutt’a un tratto nemico della squadra bianconera.
Ma poi? Il vuoto. Certo, perché questa delusione, gli juventini, se la porteranno dentro per anni, forse per sempre. Chi non è realmente tifoso, invece, oggi si è già dimenticato del tripudio. La soddisfazione è momentanea, è spicciola, proprio come chi decide di dedicare la vita per remare contro qualcuno. Esistono le propagande politiche fatte apposta per screditare un altro candidato, come esistono gli “appassionati di calcio” che decidono di guardare questo sport per il semplice desiderio di guardare un avversario perdere.
Essere “anti” ha pochi privilegi: ci vuole più coraggio per essere pro. Lì c’è la maturità, lì c’è la profonda stima in se stesso, perché ci si dice: “Io non cambierò mai: costi quel che costi, io ci sarò.“.
Facile, invece, cambiare squadra ogni domenica: si hanno molte più probabilità di successo. Ed esultano tutti: il pericoloso nemico è abbattuto e il calcio – se la Juve non vince – torna magicamente pulito. Ci si getta con avidità e tracotanza sulle carni bianconere, credute fragili. Ebbene, il più delle volte questa squadra sa rialzarsi un attimo dopo. Ma queste finali insegnano anche che la tristezza, a volte, resta per molto tempo. Adesso sì che tutto il mondo bianconero, dai calciatori ai tifosi, si sente un po’ fragile. Perché non è sempre facile riemergere da leoni: alle volte il sonno fa aumentare i cattivi pensieri e al mattino ci si sente inadeguati.
Crederci non è bastato. Essere consapevoli di potercela fare e giocare male nel momento decisivo fa soffrire ancora di più. Vedere Buffon in lacrime fa stringere il cuore. Ieri si è visto un Buffon amareggiato e rassegnato, più che disperato: ha forse capito che questa era davvero l’ultima occasione a sua disposizione.
Come fa male, tanto male sapere di quei 1527 tifosi feriti a Torino, in un momento che doveva essere di festa e di condivisione di una grande gioia. E invece, si è condiviso soltanto il dolore. Ancora una volta. Perché, ormai, siamo tutti in balia di una grande psicosi: i piani alti stanno facendo leva sui nostri sentimenti di paura, e ci sentiamo tutti costantemente in pericolo.
This post was last modified on 4 Giugno 2017 - 12:28