È tutto un vortice. Di emozioni e sentimenti. Profondi e contrastanti. È come passeggiare nel vento, con il cuore in subbuglio. È come una sbornia infinita: che tormenta, ma non conforta mai. È tutto così crudele, forse addirittura surreale. Fa male, indubbiamente. Fa piangere, anche. Per quanto era vicina. Per la consapevolezza di potercela fare. Perché sognarla non era follia. Era legittimo, quasi un dovere. Non è mancato il cuore, e nemmeno le gambe. È mancata, invece, la testa. La lucidità. Nel momento sbagliato. Quando a prevalere doveva essere la voglia di ribaltare le avversità. Di sconfiggere il fato. L’abbiamo sfiorata delicatamente, ancora una volta. Ma non basta. E non basterà. Per chi, come la Juventus, non si pone limiti, ma solo meravigliosi obiettivi.
Sia chiaro: una sconfitta che non cancella, non ridimensiona una stagione leggendaria. Ma lascia rimpianti enormi. Gli occhi lucidi e l’amaro in bocca. E apre, sicuramente, ad importanti riflessioni. A valutazioni sul futuro imminente. A dubbi che si rifanno vivi.
L’approccio alla finale non è stato quello che ci si aspettava alla vigilia. Quello promesso dalla squadra. “La migliore partita della storia della Juventus”, come assicurato da Bonucci, non è arrivata. Nemmeno lontanamente, anzi. A Cardiff si è vista una squadra opaca. Degli occhi della tigre nemmeno l’ombra. Poca grinta, poca cattiveria, a tratti tanta paura. Non sembrava essere nemmeno la Juventus. Poi, la luce è venuta a mancare troppo presto. Soprattutto quella dei campioni. Quando si potevano coltivare ancora speranze importanti. Quando il sogno non era del tutto svanito. Da lì in avanti è stato un incubo. Una progressiva, quanto inesorabile discesa verso un baratro dal quale risalire è risultato impossibile. Il Real Madrid ha sgretolato certezze importanti. I “dogmi bianconeri” sono caduti nel vuoto. Ma è proprio da qui che bisogna ripartire. E migliorarsi.
Ci si immaginava perfetti. Si credeva di poter competere alla pari con tutti. Ma evidentemente non è così. È necessario aggiungere un ulteriore step. A livello mentale, soprattutto. Questa Juventus ha bisogno di importanti passi in avanti. Allora, ecco che si profila subito una nuova sfida. Ecco affiorare nuovi stimoli. Ecco che dalla sconfitta nascono motivazioni importanti per raggiungere i traguardi tanto agognati. Come un fiore nel cemento. Bisogna trarre il meglio, sempre.
Un fallimento, certo. Del tutto inaspettato. E fa ancor più male. Ma una sconfitta, per quanto atroce e beffarda sia, accompagnata dalla consapevolezza di una inevitabile crescita, non è da demonizzare. Può essere fonte, addirittura, di nuova linfa vitale. E “rabbia” agonistica. Da portare nel cuore e sprigionare in campo. Harry Ford sosteneva che il fallimento fosse l’opportunità di ricominciare in modo più intelligente. Perché abbandonare il sogno sarebbe da codardi. Far finta di nulla, anche. Da questa immensa delusione, quindi, non si può far altro che estrapolare un insegnamento: affinché non si ripetano gli errori commessi.
Occorre credere nei propri sogni se vogliamo che si realizzino. Bisogna non essere ostacolo al loro coronamento. Bisogna non farsi frenare dalla paura di non farcela. Perché il nostro vissuto ci rende ciò che siamo: nel bene o nel male. Credere nei sogni ci mantiene vivi, alimenta la speranza. Il sogno è la nostra forza, dal sogno ricaviamo energia e di energia viviamo. Gabriele D’annunzio scrisse: “Ama il tuo sogno se pur ti tormenta”. Proprio così, solo una volontà indomita può portare a risultati straordinari. Rialziamoci, rialzatevi, sogniamo, siamo vivi.
Luca Piedepalumbo
This post was last modified on 5 Giugno 2017 - 07:55