L’attimo eterno che ha fatto grande Moise Kean

Il guerriero, in fondo, è colui che sa colpire quando deve. Con il suo sorriso, con il suo sguardo incredulo, con quel tuffo all’ultimo istante che è fondamentalmente una preghiera tutta da esaudire. E qualcuno lassù, tra un palleggio e un altro, gli ha voluto un gran bene: perché non è da tutti insaccare in quel modo, in quel momento, in quello stadio. Con questa maglia.

QUEL MOMENTO

E Kean non è da tutti. È il primo 2000 a segnare in Serie A. È un predestinato conscio di esserlo, un piccolo fuoriclasse nel suo mini mondo di attese, aspettative e picchi di pressione. È il ragazzo che ha da trainare un movimento vivo, forte: ma forse orfano di un vero talento da esporre in copertina. Chiaro: la tecnica è un’altra, e il risultato finale è una serie di insegnamenti, partite, scelte. Nel mentre, momenti come questo aiutano però a formare la parte umana del carattere. A godere di attimi indimenticabili dopo un anno da spola bella e continua.

Probabilmente c’era tutto quello, nella corsa all’ultimo pallone. O forse solo tanta, sana, meravigliosa incoscienza: perché poi Benatia era lì, ad un passo. Ma andarci era d’obbligo. Perché crederci è d’obbligo: soprattutto a diciassett’anni. Soprattutto se giochi nella Juventus e questa è la tua terza presenza in una squadra che non è solo entrata nella storia: ne sta scrivendo pagine intere.

PROVE E METAFORE

Ecco, allora quel momento diventa una lunga e ben definita metafora: è come se fosse un passaggio di consegne, dal presente al futuro. Da quel che è oggi, a Kean. Al suo colpo di testa da tre punti. Che non è vero che contano a poco: una vittoria resta una vittoria, per quanto ininfluente a meri fini di classifica. E guadagnata così, fa bene al cuore. E dà certezze. E dà linfa. E dà ulteriori speranze. 

Se c’era un ultimo passaggio da sbrigare, probabilmente era proprio questo: dimostrare la continuità di un progetto ‘educativo’ che potesse trasformare una grande società in una enorme. Non a parole, ma sul campo. Lì dove la Juventus ha saputo ancora vincere, lì dove l’ha fatto con un ragazzo nato, cresciuto e sentitosi grandissimo per una notte. Una soddisfazione che si colora dell’enorme boato generato in panchina, dell’esultanza incontenibile di Bonucci, e della risata fragorosa di Allegri: segno che sulla barca dei sogni dell’azzurrino son saliti tutti, e tutti hanno remato anche per lui.

 

Di futuri già scritti, però, Moise non ne vuole sapere: alla Juve è per crescere, per diventare il giocatore che sogna di essere. Per diventare il giocatore che il suo duro lavoro sta meritando. No, non chiamatelo ‘nuovo Balotelli’: lui è Kean. E sarà un’altra intensa storia di questa squadra. Intensa come quell’inserimento nell’area piccola di Da Costa, da solo e con un muro rossoblù davanti. Intensa come quella corsa sotto la curva, con le mani nei capelli ed un sogno realizzato.
‘Ad maiora’ sarebbe troppo scontato per uno come lui. E allora, buon lavoro a Kean. E a chi gli starà attorno: ora sì, il domani è davvero un foglio su cui scrivere ciò che si vuole.

Cristiano Corbo

Gestione cookie