Un altro Scudetto cucito sul petto. Un’altra stagione terminata con la Juventus ad alzare la coppa e tutti gli altri dietro. L’ennesimo trionfo, simbolo di una squadra che continua a scrivere la storia. Applausi per tutti, indiscutibilmente. Ma c’è chi, su quel Tricolore, ha messo la sua firma in modo prepotente. C’è chi c’ha corso, forse più di tutti, lottato, combattuto, sudato. Con quella sana cattiveria sulla faccia e la fame negli occhi che lo contraddistinguono: Mario Mandžukić.
Quell’espressione sul volto tipica di chi vuole sempre di più. Quel “No Good” diventato, ormai, virale. Mario è uno a cui affideresti la battaglia più importante della tua vita, certo che ne tornerà da vincente. Lui è un Guerriero con un polmone di riserva e un cuore grande, tanto grande. Il sacrificio è stato il filo conduttore di una stagione vissuta da protagonista indiscusso.
E pensare che l’arrivo di Higuain sembrava relegarlo in secondo piano. Ma Mandžukić non ci sta ad essere la seconda scelta, non c’è stato e mai ci starà. Ci ha provato Allegri, ma ha capito subito che tenere in panchina un giocatore così, in una condizione così, non era possibile. E allora, il Mister ha tirato fuori dal cilindro la mossa che ha dato la svolta alla stagione: 4-2-3-1, con Mandzukic esterno. Una genialata. Un colpo da maestro che ha segnato il cambio di rotta. Le prestazioni e il ruolo dell’attaccante croato sono cresciute in modo direttamente proporzionale alla sua voglia di campo. Un capolavoro, la sua stagione. Realizzato gara dopo gara. Parlare di ruolo, in questo caso, sembra pure riduttivo. Mario è stato ovunque: ha aiutato i compagni a segnare, ha segnato, ha intercettato, messo pressione ed è rientrato in difesa. Onnipresente, affamato, “cattivo”.
Lo dicono i numeri: 3848 minuti giocati (in tutte le competizioni) 10 gol realizzati e 8 assist all’attivo. Ma, si sa, i numeri arrivano fino ad un certo punto. Non riescono ad andare oltre, si limitano a riportare le cifre, senza il resto, senza quello che c’è dietro, sotto. Non rendono giustizia. Non a Mario, che ha il merito di aver messo un bel tassello su quel Tricolore che può sentire suo perché ne ha tutto il merito.
Mario Mandžukić è religione. È uno stile di vita vincente e convincente. È un motivatore fai da te, uno di quelli col fiato perennemente sul collo, a mordere le caviglie in loop.
Mario Mandžukić è religione. È forza e rispetto, è grinta e sospetto.
Mario Mandžukić è religione. E prepotenza. È fumo e arrosto insieme. E quel gol, decisivo, è la descrizione perfetta della sua stagione. L’ha messa dentro a modo suo, ancora. E poi la corsa, sotto la curva e il cuore con le mani, sulla maglia, sul petto, sul suo cuore.
Mario Mandžukić è religione. Da diffondere e tramandare.
This post was last modified on 21 Maggio 2017 - 23:42