Gianluca Vialli, qualche anno fa, riuscì a spiegare alla perfezione cosa significa stare alla Juventus. Dove vincere non è niente di più – e niente di meno – che un sollievo. Una splendida condanna all’eterna vittoria. Motivo? L’asticella è sempre altissima e non si abbassa mai, anzi. Una vittoria tira l’altra, come quando un bambino goloso ha davanti una grossa quantità di caramelle. Ecco, la Juventus è assimilabile ad una cosa del genere: un’ingordigia positiva che coinvolge chiunque varchi le mura di Vinovo. E lo sa bene capitan Buffon, che rappresenta al meglio questo way of behaviour.
Uno spettatore X, tornato a casa dopo un pranzo in campagna, ignaro degli avvenimenti della domenica pomeriggio calcistica, ascoltando Gigi nel post-gara ha sicuramente pensato che la Juventus non fosse riuscita a vincere lo scudetto. Un Buffon serioso, un Buffon ancora arrabbiato per la brutta figura di Roma (che lui stesso ha definito una “villeggiatura“), un Buffon già proiettato alla prossima occasione di vittoria. “Io queste figure da pellegrino a 38 anni non ne faccio“, aveva detto dopo lo schiaffo di Sassuolo. “Io queste figuracce a 39 anni non le voglio fare“, ha detto dopo la scoppola – inutile ai fini della classifica – di Roma.
Buffon è la Juve, più che mai. Buffon ha raccolto la pesante eredità di Del Piero come capitano e guida spirituale di un popolo – quello bianconero – incredibilmente ampio e diversificato. Tutto il mondo juventino pende volentieri dalle labbra di Buffon, che non parla spesso ma, quando decide di farlo, è difficile non faccia centro.
Buffon, un portiere che alla non più tenera età di 38 anni è riuscito a battere il record d’imbattibilità nella storia del campionato di Serie A (973′). Buffon, un fenomeno che ha fatto 8+8 (o 10+8, come preferite): 8 scudetti ufficiali (più i 2 revocati) e 8 coppe nazionali in una carriera assolutamente irripetibile. Buffon, un campione che ha sposato una Signora non più giovane anche quando è sprofondata in un inferno senza precedenti.
Buffon, che meriterebbe più di chiunque altro ciò che gli manca per aggiungere una luminosissima e gustosissima ciliegina alla torta a 16 strati che è stata la sua vita: Champions League (e siamo sicuri che la sogni notte e giorno…) e Pallone d’oro. Quest’ultimo – magari – sarebbe importante soprattutto per le statistiche: non è questo trofeo che decreta l’effettiva bravura di un calciatore.
Ce lo ricordiamo tutti, Gigi, quant’era felice il 13 maggio del 2012. Il giorno dell’addio di Del Piero, ma anche quello della premiazione del primo scudetto della nuova era bianconera. Allegro e spensierato come un bambino, con gli occhi chiusi e la voce che veniva fuori da sola. “Forza la Juve!“, cantava assieme a tutto lo stadio: lui non giocò titolare, anche perché voleva assolutamente godersi quello spettacolo. Voleva stare un po’ da solo con la sua gente, per cucirsi addosso un pezzo in più di juventinità.
E Buffon – a distanza di 6 anni – è ancora così: un Peter Pan con qualche pelo di barba (bianco) in più. Continua a crescere per l’anagrafe, ma non per il campo.
This post was last modified on 22 Maggio 2017 - 10:12