La Juventus mi ha insegnato che NIENTE è impossibile. Sì, proprio niente: rialzarsi dal fondo, superare ogni limite, vincere tutto. NIENTE è impossibile, basta crederci: fino alla fine, d’obbligo.
L’ho vista cadere, dieci anni fa, la Juventus. Eccome s’è caduta: il rumore è stato tanto grande da rimbombare ancora oggi. “Serie B”, ripetuto come un mantra, quasi per esorcizzare qualcosa che non poteva appartenere alla realtà.
“Serie B, Serie B, Serie B…”. Lo cantavano, se ne vantavano, gli altri: ma alla Juve, intanto, si lavorava. Testa bassa, tanto sudore: perché rispondere a pugni chiusi era l’unica strada possibile.
Quella che doveva portare di nuovo in alto. Quella che ha portato di nuovo in alto. Da Rimini ad Arezzo: dalla provincia alla provincia, dagli occhi increduli alle lacrime di gioia. Dalle gambe molli al coltello fra i denti.
Ecco, sì: già dieci anni fa, tra quei campi che hanno poco in comune con la storia bianconera, la Juventus mi ha insegnato che niente è impossibile.
Non è impossibile adattarsi, anzi: è doveroso. Infilarsi nelle crepe degli avversari, striscianti, liquidi: è imprescindibile. E per farlo bisogna essere grandi, ma grandi davvero. Perché – questo sì – è impossibile diventare leggenda senza sporcarsi le mani.
Quando ho visto Del Piero sudare per quella maglia bianconera era impossibile non imparare. Non guardare incantato, non innamorarsi. Non pensare che avresti voluto esserci tu, lì, al suo posto. E non era per niente scontato, Alex.
Quando ho visto Buffon chiudere, per l’ennesima volta, la saracinesca. Dopo aver urlato il “no” più forte della sua carriera a Zidane, in finale di Coppa del Mondo. Era impossibile non rimanere a bocca aperta. E che gli vuoi dire a uno così?
Era impossibile che Nedved, Camoranesi, Trezeguet – ma anche tutti gli altri – non si prendessero un pezzo di cuore bianconero. Era letteralmente impossibile, perché loro il cuore ce l’hanno messo fino in fondo.
Pure quando sembrava impossibile tornare. Invece, no: “la Juventus è come l’araba fenice”. Anche se la cenere ha rischiato di spezzargli le ali. Residui di anni bui, pure più di quel maledetto 2006. È che la sconfitta non fa parte del dna bianconero.
È che la vittoria è mescolata indissolubilmente alle fibre di questa storia secolare. Crea un liquido universalmente inscindibile dall’essenza stessa di Juventus. Non un semplice nome: ma un’ossessione continua per la vittoria. Non un semplice stemma: ma parte di storia che si fa immagine.
La Juventus mi ha insegnato che NIENTE è impossibile quando tutto era improbabile: risalire la classifica, recuperare orgoglio e punti. Quando Deschamps era una promessa di fedeltà, Marchisio una futura certezza. Quando Rimini spaventava, e tutto era da ricostruire: futuro, immaginario, e pure i sogni.
La Juventus mi ha insegnato che NIENTE è impossibile se ci credi. E poi se lavori bene, con raziocinio e puntualità. Se scommetti su te stesso, anche quando tutto sta per capitolare. Perché non è mai stato solo vincere o perdere: è saper costruire, il vero talento. E non perdersi mentre immagini e delusioni si susseguono, semplicemente attendendo il proprio momento, la propria riscossa.
La Juventus mi ha insegnato che NIENTE è impossibile: dalla B a Berlino, quindi Cardiff. Il futuro è sempre il solito meraviglioso interrogativo. Il passato, invece, è oggi un percorso che può rendere orgogliosi: dieci anni per realizzare quel che in tanti continuano oggi solo ad immaginare. Se non è un’impresa questa, lo sarà questa squadra nei prossimi dieci anni: lo sguardo, in ogni caso, va puntato in avanti.
Felice Lanzaro
Cristiano Corbo
This post was last modified on 20 Maggio 2017 - 10:24