Vincere. È la sua condicio sine qua non per andare avanti. Per sentirsi vivo. Per masticare quell’adrenalina ed ingoiarne il retrogusto dolce degli sguardi, dell’orgoglio, delle urla della gente che puntualmente abbraccia e accoglie nel suo cuore.
No, Londra non è mai stato un luogo freddo per Conte: è stata una lunga, lunghissima giornata di primavera. Semplice nella sua complessità, pulita tra un po’ di punti oscuri, tra tanto gioco maschio. E poi, chiaro: qualche leggera precipitazione, di tanto in tanto un po’ di nuvole. Ma poi, un sorriso enorme che vale più di mille parole.
Antonio Conte ha trionfato, surclassato, schiantato gli avversari. L’ha fatto con il gol della ‘riserva’ Batshuayi, con una vittoria sul WBA neanche un po’ scontata e infatti ottenuta nell’ultimo quarto d’ora. L’ha fatto con il sudore del lavoro e l’amore per la disciplina. L’ha fatto ponendosi da uomo con gli uomini, e non più da comandante assoluto. L’ha fatto cambiando: nella gestione e nell’approccio, nel modulo e nelle idee.
L’ha fatto con calma, mai affrettando i tempi. L’ha fatto con raziocinio: rivitalizzando Moses, dando un significato calcistico all’estro di David Luiz. E l’ha fatto affidandosi completamente al talento, all’immensa qualità che sapeva di poter disporre: Hazard ha danzato con i suoi insegnamenti, liberandosi da pressione e accumulando su di sé solo la luce di cui ha saputo brillare.
Poi c’era Diego: croce, delizia, e poi ancora croce, e poi di nuovo delizia. Solo per la gestione dello spagnolo, Conte ha dovuto fronteggiare mille fasi diverse della vita di un allenatore: dall’amore folle, all’estrema sopportazione. Dal bisogno disperato, all’autorità necessaria. Step by step, facendosi capire.
N’è uscito vincitore, sempre e comunque. E soprattutto: n’è uscito con un bomber meraviglioso, in grado di elevarlo a primo della classe. E in grado di risplendere in ogni giocata di ogni compagno: nelle traversate oceaniche di Kanté, ad esempio. Quindi nell’intelligenza di Matic, nella continua e costante crescita di Marcos Alonso, nella qualità infinita di Fabregas.
Che poi, vista così, sembra solo la naturale conseguenza al duro lavoro. E invece bisogna saperci stare, in determinate situazioni. Saperle vivere. Saper chiudere anche il rubinetto all’ego, pure urgentemente se quest’ultimo diventa più ingombrante dei sogni di fine stagione. Ecco: abbraccio dopo abbraccio, incazzatura dopo incazzatura, proclamo dopo proclamo, Conte è cresciuto. In modo netto e inequivocabile. Strappando via l’etichetta degli ultimi dubbi, alimentando solo certezze.
L’unica incognita, paradossalmente, è il futuro. O meglio: è sul ‘dove andrà’, non ‘quel che farà’. Perché ovunque decidesse di approdare, il risultato pare scontato. Antonio Conte non ha vinto solamente per le sue qualità. Antonio Conte ha vinto perché sa solo vincere, perché ce l’ha dentro. Perché vive di questo.
Antonio Conte ha vinto anche contro se stesso, il suo timore, le mille frasi fatte. Di ristoranti non parla più: ma scommettiamo che al tavolo dei grandi, adesso, non vede l’ora d’incrociare lo sguardo della Juve.
Cristiano Corbo
This post was last modified on 12 Maggio 2017 - 23:01