I passi dei giganti lasciano un’impronta più grande nella storia. I passi dei giganti, poi, aiutano ad arrivare prima alla meta: perché ai giganti non serve correre, serve solo continuare ad andare. In alto, in cielo, verso l’olimpo. E serve farlo pian piano, passo dopo passo, gradino dopo gradino. Senza affrettarsi: solo proseguendo. Che alla fine, certi traguardi – e certe annate – sembrano fatte appositamente per bere grosse sorsate di vittorie, per sprigionare euforia, per godersi i momenti. E l’amore che ne scaturisce.
I chilometri, arrivati alla fine, pesano come una pagliuzza in mezzo a tonnellate di ferro vecchio, di sogni mai realizzati, di speranze vanificate da episodi e sfortuna. No, stasera non c’è più niente: è andato via Berlino, è clamorosamente svanito Evra e il colpo di testa di Muller. È annebbiato anche il ricordo dei settimi posti, del ritorno tra i grandi. Del sudore e della paura nelle notti in cui il futuro poteva essere tutto, salvo poi rivelarsi mestamente nulla.
E forse è troppo facile, adesso. Troppo facile guardarsi indietro e sorridere, troppo facile guardare l’orizzonte e avere la pelle d’oca, l’ansia a palla, il cuore all’impazzata. Troppo facile, adesso, salire su un carro che non ha ancora deciso il suo percorso: sa solo che si riempirà, in un modo o nell’altro. Rischiando di strabordare di parole, speranze, sogni. Ma soprattutto: d’attesa. Che è già snervante, sfibrante, per certi versi pure agonizzante. Del resto, quale sogno ha mai fatto dormire?
È che in fondo, Cardiff è la rivincita di tutti. Di chi ci credeva anche quando il gioco stentava ad arrivare, di chi ha saputo pazientare e trattenere il fiato. Di chi non ha dovuto far altro che gestire uomini e parolai, situazioni ed evoluzioni. Neanche poi così tattiche. Ecco: Cesare ha sempre avuto ciò ch’era suo di diritto, Massimilano Allegri invece no. E per quanto questa squadra sia sua dal principio alla fine, il riconoscimento ufficiale non poteva non arrivare in una notte d’inizio maggio, una di quelle in cui vedi le stelle e pensi al futuro. Perché questa è la rivincita dei buoni. Di quelli che non si fanno prendere dai momenti, ma li catturano per produrne di nuovi: e le emozioni, no, non bastano mai.
E non possono bastare. Non devono. Perché poi l’allergia agli ultimi step è una malattia che alla lunga logora, ti distrugge insinuando paura, figliando sgomento. E quanto conta, quest’istante? Conta tutto. E conta niente. Conta però sapere che negli sguardi degli juventini ci si può trovare spirito, voglia, determinazione. E che i brividi di due anni fa torneranno, ma saranno diversi. Meno intensi, chissà: però comunque a fior di pelle.
E tornerà Lione, e tornerà il rigore parato da Buffon quando sembrava tutto gettato al vento. Tornerà il dominio in casa, la trasferta a Siviglia: che se Vazquez non avesse bruciato tutto, a quest’ora si starebbe magari da un’altra parte, a fare ammenda e a contare i rimorsi. E tornerà Oporto, la zampata di Pjaca, le vittorie senz’appello. Tornerà il Barcellona: quei tre lì a sfondare un muro impenetrabile, e quei tre qui a cantare sotto la curva. Torneranno le Ramblas totalmente bianconere, un Camp Nou da sogno, una Juventus da brividi.
Tornerà Monaco, questa festa, questi colori, questa passione. E saranno tutti accartocciati in un pensiero banalmente bello, candidamente toccante. E forte. E passionale. E inaspettato, come tutti i momenti indimenticabili. No, non è mai troppo Tardiff. E poi, si sa: meglio Tardiff che mai. Anzi: meglio la Coppa. Allora, buona attesa a tutti.
crico
This post was last modified on 12 Maggio 2017 - 16:12