Onore e tante, tante lodi a questa Juventus che si è riposizionata nell’alveo dell’Europa che conta. «Non conta niente arrivare in finale. L’obiettivo è vincere» ha dichiarato, e con ragione, Buffon; un’affermazione intrisa di tanti significati: la sconfessione di quanti, da Berlino in poi, hanno considerato l’approdo all’ultimo atto come un trofeo; la puntualizzazione di una filosofia bianconera per la quale il secondo posto posto, pur eclatante in termini di successo economico, è un fallimento sportivo; la legittima, covidosa ambizione, sua, e di chi ha dovuto calcare i campi della serieB a causa di una truffa epocale, di nobilitare un percorso professionale straordinario con il trofeo più ambito.
Sia chiaro a tutti: questa coppa deve essere vinta e lo sarà. Per debellare una tradizione che ingiustamente ombreggia un blasone prossimo alla leggenda, per riallineare (purtroppo parzialmente, e si sa bene il perché…) questa Newventus a quella che fu e non per coronare un ciclo di vittorie domestiche con lo scettro di Regina extra-peninsulare, ma per aprirne uno nuovo all’interno del quale, in ogni stagione agonistica che Eupalla scandirà, Madama sia tra le candidate principali al governo calcistico del Vecchio Continente.
Onore e tante, tante lodi a questo gruppo di giocatori e alla Società, capaci di compattarsi e porre rimedio a uno stato dell’arte che fra Doha e Firenze aveva sostanzialmente esautorato il gestore del patrimonio tecnico, consapevolizzando la necessità di un diverso abito tattico, peraltro propugnato dalla critica già all’alba della morente stagione. La creatura nata dalle ceneri dell’Artemio Franchi ha valorizzato la tecnica e lo spirito di sacrificio di giocatori intelligenti, che hanno saputo ergersi a blocco monolitico e, dall’alto di motivazioni al calor bianco, estrarre dal proprio bagaglio quanto di meglio potesse offrire uno schieramento obbligato, ma anomalo, giacché comprensivo di un centrattacco riadattato a terzino/ala/mediano, di due centrocampisti rigorosamente “monopasso” e, talvolta, di due esterni bassi sulla corsia opposta.
Una soluzione diventata inscalfibile e refrattaria pure a qualsivoglia estemporanea genialata del preposto a coadiuvarne le mosse.
Onore e tante, tante lodi, per le prestazioni che Dani Alves ha sfoggiato da febbraio in poi. Ha fatto ricredere quanti, e tra essi lo scriba, ritenevano fosse venuto in Italia per intonare il suo canto del cigno al ritmo di uno spensierato turismo, ma non gli sono dovute scuse, anzi, l’aver dimostrato di poter ancora essere, magari non a tempo pieno, l’esterno basso più forte del pianeta, dovrebbe indurre lui a chieder venia per le vergognose prestazioni inscenate nei primi mesi della sua avventura juventina, che non possono né devono essere dimenticate, bensì finalizzate alla ricerca di una vera, giovane alternativa per quella zona del campo.
Onore e tante, tante lodi, da trasmutare in copiosa mietitura di trofei che arricchiscano il già ridondante J-Museum, perché i complimenti sono considerati vittorie solo al di sotto del cinquantaduesimo parallelo e, al riguardo, i prossimi sette giorni saranno catartici.
La sensazione, netta, è che la maggior bramosia di conquista della Vieille Dame farà arrossire le grandi orecchie del Graal bullonato con una prestazione indimenticabile, ma ora, massima allerta per le immediatezze; Cardiff è ancora lontana, mentre l’imperativo di arrivarci con nuove, freschissime medaglie sul petto, quanto mai attuale. Siano appuntate, poi ci si penserà, con lo spirito, stavolta appropriato, di chi considera la tappa gallese un punto di partenza.
Augh!
This post was last modified on 11 Maggio 2017 - 10:19