Juventus-Monaco, l’analisi tattica: camaleonticamente in finale

Lo Stadium ribolliva di sguardi e sirene, di tensione e adrenalina. Alla fine? Solo di gioia: sì, la Juve è in finale di Champions. Per la seconda volta in 3 anni, poi. Sperando che, magari, stavolta l’epilogo sia diverso. Meno bastardo, ecco. E più da sognatori.

Quel ch’è certo, comunque, è che questa squadra sia davvero un prodotto ben definito della prima opera ‘allegriana’: non è prevalentemente un ‘palla a Tevez’, o magari a Pirlo, Pogba, Vidal. Non è centrocampodipendente, ma baricentrodipendente. È un ibrido: meno definito, quindi più imprevedibile. E più pungente quando c’è da offendere.

ALTRO GIRO, ALTRO SPECCHIO

Eppure, in un certo senso, queste semifinali hanno esclusivamente il marchio di Massimiliano Allegri. È che in pochi avrebbero riaperto i cerchi serrati dal mister: il ritorno alla difesa a tre, per quanto sostanzialmente diversa, era qualcosa che nessuno s’aspettava, a cui nessuno aveva osato aspirare. E invece, l’ha fatto Max. Togliendo Cuadrado, inserendo il trentaseienne Barzagli. Quasi a uomo. Quasi stretto. Sul diciottenne Mbappé, fulmine e saetta di un Monaco che ha comunque spaventato, ma mai dato davvero l’idea di poter ribaltare tutto. Neanche per un istante.

Mendy e Sidibe, Alves e Sandro: son state le coppie a fare la differenza. Soprattutto quando c’era da ripiegare, con il duo brasiliano enorme in entrambe le fasi. Certo, il supporto dei centrali è stato fondamentale. Così com’è stato fondamentale sfruttare i momenti: dal palo di Mbappé, qualcosa dietro nella Juventus è cambiato. Per fortuna.

ANCORA SPRECHI

Il Monaco non è venuto a Torino per contenere. Non lo permetteva il risultato dell’andata, non lo consentiva la maniera spregiudicata con cui s’era affacciata allo Stadium. Così facendo, i monegaschi hanno lasciato praterie e fiumi di occasioni: ghiottissimi, i bianconeri. Si sa. Che centralmente, soprattutto sfruttando i tagli di Pjanic e Dybala, qualcosina l’han pure fatto: salvo poi sprecare malamente. 

Ecco, monito per il futuro: quando ci sarà da riproporsi in transizione, non dovrà esserci nessun Subasic che tenga. Anche per questo, il nuovo modo di attaccare della Juve può aiutare: non più le ‘5 stelle’ a supporto dell’azione, ma manovra più ragionata e meno arrembante. Con l’aiuto degli esterni, poi. Chiaro: se Dani ha meno oneri, è più propenso ad arare la fascia nell’altra metà campo.

COSA RESTA

Cardiff ha due F. Come Buffon. Che il tre giugno giocherà la sua terza finale di Champions League, da capitano, da sognatore, da infallibile fuoriclasse col vizietto di saper ancora stupire. Di questa doppia semifinale, in fondo, resterà poco: la Juve non ha solo vinto, ha dominato. Ciononostante, 690 minuti d’imbattibilità meritano una menzione a parte: perché mai come stavolta, ogni cosa è partita da dietro. Dalle mani di Gigi, dai cuori immensi di Barzagli, Bonucci e Chiellini. Sembra un deja-vu: è tutto vero. È tutto meraviglioso.

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