Ci siamo divertiti a spolverare gli annali e a buttarci in ricerche per riuscire a trovare tutti gli ex che hanno vestito sia la maglia bianconera che quella monegasca: ne è venuta fuori una formazione di 11 giocatori (neanche a farlo apposta), forse un po’ troppo sbilanciata in avanti, ma comunque completa e devastante, che faremo giocare con uno schema più adatto al calcio degli anni ’30 che non a quello moderno: un 3-2-1-4 con adattamenti di un certo rilievo.
Se non fosse stato per la malaugurata partita di qualche giorno fa con il PSG, pochi avrebbero saputo che è ancora in gioco. De Sanctis è stato il terzo portiere della Juventus negli anni in cui la porta era blindata da Angelo Peruzzi, degnamente sostituito in alcune occasioni da Michelangelo Rampulla. Dopo la parentesi juventina, che di fatto lo ha lanciato nel mondo del calcio professionista, ha fatto tappa un po’ ovunque, tra Italia ed Europa. Il suo peregrinaggio, dopo anni e anni di carriera, sta per terminare nel principato di Monaco, alla veneranda età di 40 anni.
Ha cominciato a Monaco per farsi conoscere, si è consacrato a Parma (anche un mondiale e un europeo vinti con la Francia) e si è definitivamente consegnato tra i più grandi con la maglia della Juventus. Terzino destro alto 190 centimetri, poi dirottato stabilmente al centro da Fabio Capello, ha composto con Cannavaro e Buffon una delle migliori difese al mondo, prima a Parma e poi a Torino, sponda bianconera. Segnava poco, ma i suoi gol ce li ricordiamo ancora, in particolare quelli contro la Croazia nel mondiale ’98 e contro il Milan nella stagione 2002/03.
Doveva comporre la linea di centrocampo titolare assieme a Tiago nell’anno del ritorno in serie A. Sappiamo bene come andò a finire: l’argentino non replicò le buone cose fatte ad Empoli, e venne emarginato sempre più fino all’inevitabile cessione, proprio al Monaco, dove nessuno se lo ricorda. Ha replicato cose buone pochi anni dopo a Bari e Catania, per poi finire nell’Akragas, dove adesso svolge il ruolo di coordinatore dell’area tecnica.
Non ci siamo scordati dello Zio Pat; troppo poco tempo è passato dal suo ritorno in Francia, sponda Marsiglia. Non tutti sanno che Patrice aveva già giocato in Italia, nel Marsala prima e nel Monza poi. La svolta è arrivata proprio a Monaco, con il quale è arrivato a giocare la sua prima finale di Champions contro il Porto di Mourinho: dopo quella stagione la sua carriera è andata in ascesa, con il suo culmine al Manchester United, dove ha vinto tanto, tra cui la famigerata Champions. Arrivato alla Juve come “bollito”, ha dimostrato di essere ancora in grado di giocare tra i migliori. Anche se gli juventini ricordano per di più l’errore all’Allianz Arena…
La scena a cui tutti gli juventini sono più affezionati è facile da ricordare: Roma, 22 maggio 1996, finale di Champions League. La Juve ha dominato l’Ajax, ma per vincere la coppa servono i calci di rigore. Davids e Silooy sono già stati bloccati da Peruzzi, il suo tiro potrebbe essere l’ultimo. E così fu: Van der Sar viene trafitto, la Juve torna ad alzare la coppa più importante dopo la tragica notte dell’Heysel. Non era la prima che alzava: già nel ’91, in quel di Bari, sconfisse in finale l’Olympique Marsiglia con lo Stella Rossa e diventò campione di europa. Un giocatore forse non conosciuto come avrebbe meritato, ma che sicuramente sapeva rendersi prezioso per tutte le squadre in cui ha militato, Juve e Monaco comprese.
Il suo nome a tanti non dirà niente, in quanto si parla di calcio passato. Ma chi se ne intende ricorda bene questo portoghese, che tanto bene fece a Oporto e che sbarcò a Torino per segnare e vincere la Coppa Uefa. Fu poi venduto al Monaco (evitando la sciagurata gestione Maifredi) dove vinse una coppa di Francia. Il resto della sua storia lo scrive in Portogallo, dove giocò metà carriera tra Porto e nazionale, come titolare fisso, sia da trequartista che da seconda punta, dall’alto dei suoi 159 centimetri.
Si diceva un gran bene di lui quando arrivò a Torino: sembrava dovesse essere una scommessa stravinta dal trio Moggi-Giraudo-Bettega, che si aggiudicò questo esterno sinistro (all’occorrenza trequartista e seconda punta). Non lasciò il segno: troppi campioni in quella Juve gli chiusero il posto. Tornò in Francia, al Monaco, e da qui cominciò la sua carriera di emigrante: Spagna, Scozia, Polonia, Grecia, Inghilterra, Qatar… non è mai riuscito a restare per più di un anno nella stessa squadra (ad eccezione del Wigan, dove restò un anno e qualche mese, prima di essere ceduto in prestito al Boulogne). Attualmente è svincolato, chissà se qualcuno vorrà ancora scommettere su di lui.
Forse il più grande rimorso della storia juventina. Arrivò per 12 milioni dal Monaco, doveva sostituire Del Piero infortunato. Nessuno lo capì, e venne spedito all’Arsenal, dove è diventato il fenomeno che tutti ci ricordiamo: straordinaria abilità palla al piede, ottimo tiro, grande visione della porta nonché super assist-man. Un attaccante estremamente completo, capace di estrarre elefanti dal cilindro, un fenomeno a cui manca solo un trofeo per segnare una carriera meravigliosa: il pallone d’oro.
Una carriera davvero strana la sua: tanti gol sparsi tra Salernitana e Parma prima di arrivare alla Juve, dove, complice la straordinaria competizione in attacco con Del Piero e Trezeguet (titolarissimi), Zalayeta e Miccoli compagni di panchina, lo costrinsero a rallentare la sua media gol. Iniziò a vagare per ritrovarsi: Monaco, Valencia, Genoa… sembrava un giocatore finito. Poi arriva il Bologna, e di nuovo tornano le piogge di reti, che continueranno anche oltre oceano, al Montréal Impact, dove chiuderà la sua carriera. Un attaccante da cui sarebbe stato lecito aspettarsi di più, anche se lui, in cuor suo, sa di non dover rimpiangere niente per quanto fatto in campo.
Dove gioca segna. Mettilo dove vuoi, ma lui segna. Il bomber per eccellenza della nazionale italiana ha fatto anche un salto a Torino, dove con la Juve porta a casa una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Europea e uno scudetto, prima di essere trasferito all’Atletico Madrid, dove passerà alla storia per due motivi: la perfetta media di un gol a partita e il gol dalla riga di fondo nel derby col Real. Si inceppa dopo il 2005: viene ceduto al Milan dove gioca poco (e male), va al Monaco nella speranza di giocare e di ritrovare la nazionale per i mondiali, ma niente da fare. Il finale di carriera è da dimenticare rispetto alle valanghe di reti a cui aveva abituato il pubblico, ma tutti continueranno ad amarlo, anche per la sua gloria nel campo femminile.
Basterebbe semplicemente ricordare il suo coro “Trezeguet, Trezeguet, quando gioca segna sempre Trezeguet” per definire al meglio questo giocatore. Trezeguet non segnava perchè era bravo di testa, di piede, perchè era veloce o perchè saltava l’uomo: Trezeguet segnava e basta. Poteva starsene fermo fino al novantesimo e segnare nel recupero con l’unica palla toccata della partita. Si trovava al posto giusto nel momento giusto. A Monaco e alla Juve è stato idolatrato ad oltranza, ma è stato un idolo pure nelle squadre che sono succedute, Hércules Alicante prima e (soprattutto) River Plate poi. E ha pure il pregio di aver sbagliato il rigore nella finale di Berlino del 2006…
This post was last modified on 10 Agosto 2017 - 17:54