Ci sono da sempre semplici scrittori e poi artisti, cantanti da una parte e poeti dall’altra, i combattenti e gli eroi. Tra i navigatori c’è chi si è spinto oltre le Colonne d’Ercole. Tra gli scultori chi ha dato vita a creature di marmo, vere e inarrivabili. Tra le due parti c’è una linea sottile, quasi invisibile, ma percepibile con un occhio non fisico. Forse ha a che fare con il talento, forse con il genio, forse con i sogni. Forse è qualcosa che si ha dentro, che cresce come una propulsione e destina sin dalla nascita a varcare quell’impalpabile limite in grado di sottrarre alla mediocrità e condurre al sublime.
Una dimensione per pochi. A volte si varca il confine accettando una sfida. Scendendo in campo. Tra l’incedere e il sostare, lì, sul limitar dell’erbetta. Come quando, quasi sul fare della sera, cala un silenzio irreale, quasi divino, interrotto soltanto da qualche folata di vento. Mentre il sole all’orizzonte cala, non è rimasto nessuno sul campo impolverato. Soltanto un uomo, e non uno qualunque.
Voltato di spalle, la testa alta. Capelli biondi che incorniciano il volto e seguono il fluire del vento; vento che scuote anche il suo animo, penetra nei muscoli, che definiscono un corpo saldo, slanciato, dai lineamenti decisi. Lo sguardo non lo si vede ma, chiunque lo conosca, non ha problemi ad immaginarlo. È uno sguardo di ghiaccio, ma di un ghiaccio che si illumina fino a bruciare. Resta immobile per qualche altro istante poi, per ultimo, lascia il terreno di gioco dopo l’allenamento. E, allo stesso modo, è il primo a calcarlo in quegli attimi che precedono lo scontro. Il fuoco negli occhi, ancora, arde. Solleva lo sguardo. Segno della croce. L’elmo ben calato già scintilla.
Quel biondo venuto dall’Est, figlio di un operaio amante del calcio, che cresce sfidando a calci un muro. Cresce cercando di abbatterli tutti quei muri, spianandosi la strada di corsa. Correndo, sempre e comunque. Correndo, senza fermarsi. Inizia a percorrere i primi passi nella sua terra natia, la Cecoslovacchia. Si trasferisce a Rudá Hvězda Cheb, poi allo Skoda Plzeň. Ma il ragazzo continua a correre, con la mentalità dei vincenti, l’impeto dei più grandi. Il Dukla Praga nel 1991. Lo Sparta Praga nel 1992. Conquista tutto ciò che può. Un campionato cecoslovacco, due titoli cechi, la Coppa della Repubblica Ceca. Ecco il talento. Ed ecco anche l’occasione. Estate del 1996: Europei in Inghilterra. Il giovane ed esordiente Nedved coinvolge nella sua corsa tutta la sua Nazionale. La Repubblica Ceca elimina l’Italia, la rete decisiva è proprio quella della Furia.
L’Italia, seppur nel rancore e nell’amarezza, coglie la singolarità di questo centrocampista offensivo, la sua tenacia, la sua scintilla. Nel 1996 debutta in Serie A con la maglia della Lazio, inserito nel gioco del suo connazionale Zdeněk Zeman. Di quella maglia biancoceleste diventa leader. A Birmingham nel 1999 segna al volo, in girata, a pochissimo dalla fine e afferra la Coppa delle Coppe, sottratta agli spagnoli del Maiorca. Perché se c’è una cosa che più di tutte distingue i campioni, è la capacità di crederci sempre, di vedere la possibilità anche laddove tutti gli altri vedono sconfitta certa. E in quello spiraglio intrufolarsi, farsi spazio, travolgendo il pallone in una corsa folle che conduce alla vittoria. Poi, nella stagione successiva, anche lo scudetto. Uno scudetto in rimonta, strappato alla Juventus proprio dal campione che di quella bandiera bianconera sarebbe diventato simbolo, forza, storia. Ma gli eroi, i fuoriclasse dalla stoffa semidivina, risiedono per natura sulle cime più alte. Necessitano della grandezza, anelano al mito. E nel mito crescono, vivono, respirano e brillano di luce propria.
Ed è da questo istante che la Vecchia Signora comincia ad innamorarsi del biondo semidio che per lei corre senza sosta e che con lei sogna di raggiungere i traguardi più luminosi. Dopo un lungo corteggiamento, con pazienza e caparbietà, l’eroe conquista la sua dama e sceglie di non lasciarla più, di dedicarsi a lei con passione ed abnegazione, di incantarla ogni giorno di più. Perché questa è soltanto la prima volta di una lunga serie. L’Achille venuto dall’Est comincia a conquistare il mondo intero e non si ferma più. Si allena, corre e tira e segna. Si allena e corre e corre e segna. Come una biglia su un piano inclinato, la sua corsa è inarrestabile. Affina la tecnica, da esterno sinistro di centrocampo a trequartista, diventa uno dei centrocampisti offensivi più apprezzati della storia del calcio. “Raggiante come una stella, come l’astro d’estate si leva: brillanti i suoi raggi spiccano, pur tra moltissime stelle, in seno alla notte”.
Perché Pavel, pur condividendo il campo da gioco con vere e proprie leggende, ha la stoffa per diventare la stella più luminosa. Quella stella che con un guizzo improvviso, con uno scatto decisivo, con un bolide da fuori area possa illuminare anche le partite più spente. Terrore puro, panico e grande rispetto negli occhi di qualunque avversario. Perché si sa, uno del genere non lo si ferma facilmente. Perché si sa, quando un eroe vive con il rischio nelle vene, senza nemmeno un briciolo di paura, diventa impossibile batterlo. Entusiasmo, nuovo vigore, rinnovata speranza nelle ossa di chi, invece, combatte al suo fianco. Perché quando Achille scende in guerra, tutti tremano e corrono a rifugiarsi al sicuro, tra le mura della propria città, per non essere sorpresi dai suoi attacchi letali. Perché quando Pavel corre, tutti tentano di arginarlo, di correre ai ripari. Ma non è detto che ci riusciranno.
E così, nella seconda parte della stagione 2001 – 2002, la Furia Ceca esplode definitivamente in maglia bianconera. E, proprio in questa stagione, Pavel conquista il suo primo scudetto con la Vecchia Signora. Il trionfo, ottenuto durante l’ultima giornata di campionato dopo una rimonta al cardiopalma ai danni dell’Inter, è una pagina memorabile della storia bianconera. E non dev’essere un caso: il biondo semidio è destinato a restare nella storia. Le sue imprese non devono essere mai banali. La stagione seguente lo consacra e lo conferma come l’astro più splendente in un firmamento già luminosissimo. Il guerriero invincibile, con la sua armatura indistruttibile, affronta e vince le battaglie più insidiose, guida il proprio schieramento alla vittoria, pugno in alto a fendere e sfidare il cielo. Sarà ancora scudetto, per la Vecchia Signora, trascinata dal suo magnifico leader. Ma Pavel vuole di più, anela a qualcosa posto ancora più in alto. Qualcosa che ha la concretezza impalpabile di un sogno, e che, come ogni grande sogno, vibra di un’energia particolare, percepibile soltanto dai più grandi. Un sogno chiamato Champions League. Proprio in questa stagione, sigla il suo primo goal nella competizione, contro la Dinamo Kiev. Ma, lo sa bene, non è questa la battaglia più importante. E, quando durante i quarti di finale si trova a combattere contro i temibili nemici del Barcellona, nel Camp Nou, loro pericolosissima tana, qualcosa scatta in lui. Queste sono le grandi sfide, che risvegliano l’istinto del campione. Che lo rendono ancor più infallibile. Come Achille annienta Ettore, suo più valido e pericoloso avversario, davanti alla rocca della sua città, che lo vede sconfitto e oltraggiato. Così la Furia Ceca annienta i catalani, davanti al loro pubblico, con un goal ai supplementari, che sancisce il passaggio del turno della sua Juventus. Ma Pavel non ha ancora raggiunto l’apice della propria gloria. Perché le grandi sfide attirano a sé i campioni, costantemente. E i campioni non si accontentano. Aspirano sempre a nuovi traguardi. E la semifinale di Champions è una gara per cuori saldi e muscoli d’acciaio. Soprattutto quando l’avversario è il Real Madrid. Soprattutto quando c’è da ribaltare un 2 – 1. I bianconeri scendono in campo con un solo obiettivo: arrivare in finale. E lo mettono in chiaro fin da subito, siglando due goal. Il risultato è sul 2 – 1, ancora in bilico. Finché un pallone non viene servito in avanti. Scatto fulmineo, Pavel corre e in velocità si accentra, poi colpisce il pallone. E il pallone va proprio lì, dove doveva andare, telecomandato.
Come se il destino avesse già deciso e lo avesse già preventivato. A un passo dal sogno. A un passo dalla gloria.
Ma è lì, a un istante dallo spiccare il volo, che l’incanto si spezza. Dopo aver dato sfoggio di tutto il proprio carisma, di tutta la propria grandezza, cade nell’inganno della sorte. Incappa nell’unica cosa che avrebbe potuto fermarlo. Il suo tallone di Achille: Pavel viene ammonito e, diffidato, dovrà saltare la sfida più grande. La sfida più importante, quella più attesa, quella per cui ha dato tutto. La Juventus è in finale, ma c’è qualcosa che stona in quella notte di festa. “Achille intanto piangendo sedeva lontano dai compagni, ritiratosi in disparte, sulla riva del mare spumoso, guardando la distesa infinita”. L’eroe, il guerriero, è lì che piange, disperato. Gli è stato sottratto tutto. “Almeno la gloria doveva darmi l’Olimpio, Zeus che tuona dall’alto; ed ecco che ora nemmeno un po’ mi ha ripagato”. Così diceva Achille, il più grande eroe degli Achei, dopo essere stato privato del suo bottino di guerra da Agamennone. E così avrà pensato la Furia Ceca, in quella notte magica ma per lui maledetta.
Non è necessario rimembrare l’esito della finale; chi ha cuore bianconero ne sarà a conoscenza. E non vorrà ricordarlo. Resta soltanto un dubbio: come sarebbe andata se… Ma la storia non si fa con i se. Non sarà, tuttavia, questa macchia ad offuscare la sua luce. Proprio lui, abituato a trasformare in oro ogni palla calciata, vedrà questa sua dote riconosciuta dal mondo intero e potrà riporre sulla mensola, lì accanto ai trofei di una carriera leggendaria, uno dei titoli più prestigiosi del mondo dello sport: il Pallone d’Oro. Ed esso sfavilla, tra gli altri, “come (..) Espero, l’astro più bello che si libra nel cielo, così lampeggiava la punta acuta che allora Achille brandiva in mano”.
“Sono orgoglioso di avere giocato con Pavel Nedved (anche perché me lo ricordo anche da avversario, e vi assicuro che è molto meglio averlo dalla propria parte…). Sono orgoglioso che domenica scorsa sia stato il mio capitano, di avergli messo al braccio la fascia che indosso da tanti anni. […] come tutti i grandi campioni, ha chiuso alla grande. Mi legano a lui tanti ricordi, tante vittorie, qualche sconfitta, la scelta di restare alla Juventus anche in serie B per ritornare in alto, insieme. Ma soprattutto mi legano a Pavel tutti quei momenti, anche apparentemente insignificanti, quegli attimi vissuti insieme in questi otto anni, che per me rappresentano la grandezza non solo del calciatore, ma anche dell’uomo, dell’amico”.
(Alessandro Del Piero)
Martina Santamaria & Stefania Lupelli
This post was last modified on 29 Aprile 2017 - 10:05