Le parole son quelle. Restano immutabili e ferme. Perché poi, a dispetto del titolo, ci sarebbe poco da fraintendere. E Antonio Conte n’è convinto, fermamente: sa che l’impresa che sta per compiere non è una robetta da quattro soldi, e nemmeno qualcosa di scontato, dovuto, arrivato perché doveva arrivare. Sa che se il Chelsea dovesse trionfare nell’Inghilterra dei più grandi, a quel punto tutte le chiacchiere starebbero a zero: varrebbe solo il lavoro immane di una stagione partita con qualche preoccupazione e tanta sana incoscienza.
Ecco: se Antonio Conte dice quel che dice, non va frainteso. Non ha dimenticato neanche per un istante quanto fatto in Nazionale, quanto fatto a Torino. E ancor prima, quanto fatto a Bari. E se dice quel che dice, lo fa anche per una sorta di carica, di riverenza nei confronti di una squadra che gli ha saputo dare più di quanto pensava di ottenere. In termini di prestazioni, continuità, ma soprattutto disponibilità.
L’eventuale vittoria inglese allora vale anche di più di uno scudetto strampalato in una Juve ancora cantiere: per lui sarebbe uno step non miracoloso – come forse ancora oggi appare il primo corso juventino -, ma ragionato. E per questo conquistato, a furia di cacciar fuori talento e attributi. È che Stamford Bridge è un punto di partenza che sa totalmente di punto d’arrivo, e non semplicemente un titolo o l’ennesimo ‘complimenti’ da mettere in bacheca: quelli servono a poco. A zero, considerato un ego del genere.
Quindi, davvero: non fraintendete Antonio Conte. Anche, soprattutto perché ha saputo dare tutto se stesso – e forse qualcosina in più – per una creatura che ha fatto il suo stesso percorso: è partita da zero e ora si gode i frutti del meritato successo. Separati, vero: ma nei posti in cui il destino ha scelto per loro.
Se non ci fosse stato Conte in quella Juventus, probabilmente non parleremmo oggi di una semifinale europea. Se non ci fosse stata quella Juventus per Conte, allo stesso modo non parleremmo del leccese come futuro campione d’Inghilterra, al primo anno e con una squadra per tutti ‘da riciclare’.
Do ut des. Però senza rancore: non lo merita, una storia così.
Cristiano Corbo