C’è un punto di domanda enorme nel futuro del Barcellona. Ma ce n’è un altro esclamativo sul presente, pure abbastanza ingombrante: è al fianco di Luis Enrique, entrenador, allenatore. Che a fine stagione andrà via, non si sa in quale sponda del mondo: ma lo farà. Abbandonerà casa sua perché il Barça ogni tanto ha bisogno di riprendere ossigeno, di non sentirsi oppresso dagli obblighi morali. Dalle vittorie, che più s’accodano, più t’inceppano: perché poi, se non vinci più, allora è fallimento.
Il calcio come collettivo allora potrebbe sparire: capitò tempo addietro con il Tata Martino, subito dopo la parentesi vincente ma devastante – in ogni senso possibile – di Tito Villanova e quella di Pep Guardiola ancor prima. Da settembre, insomma, il Barcellona può perdere forze e identità: nel mentre c’è però la Juventus e tutto ciò che ne consegue. Ossia: una stagione da immortali, per lasciare il segno, per chiudere un cerchio bellissimo.
Gli alti e i bassi sono sempre stati il suo forte, la sua specialità: che vie di mezzo non ce ne sono mai state s’era capito da un pezzo. E l’ultima prova negli ottavi di finale: prenderne 4 a Parigi per poi servirne 6 al ritorno. Pazzesca, quella squadra. Indomabile quando vuole, esattamente come il suo tecnico: di tempo ne ha preso per risalire l’olimpo dei più grandi, ma era giusto così. Ha dovuto faticare, sudare e lavorare. Senza mai snaturare il suo credo, che poi è quello dei blaugrana: fraseggio stretto e tantissima qualità. Ha trovato anche gli interpreti giusti, col diritto sacrosanto alla vittoria: a lui il merito di averli portati dove meritavano i loro piedi, il loro talento.
Chissà dove lo porterà, il prossimo ‘proyecto’. E chissà che un giorno non incroci anche queste parti, sempre apprezzate sin dai tempi delle batoste prese dalla sua Roma. Del resto, mica sarebbe così distante: toccherebbe star corti, costantemente a trazione offensiva. Una squadra intellettuale, ma col piglio di chi non si ferma troppo a riflettere.
E neanche lui si è poi così soffermato, a pensare, a credere, a sperare. Una volta abbracciata la proposta del Barcellona, Luis Enrique s’è fatto due conti in tasca: come approcciarsi ad una squadra che ha vinto tutto, ma da vincente di nulla? Chiaro: la storia da giocatore ha sempre parlato per le sue doti, così come la profondissima conoscenza di calcio non è mai stata messa in discussione. Però… però ognuno ha i suoi momenti, da lì bisogna riprendersi e riprenderseli: bravo Lucho, dunque. Capace di trionfare a Berlino con una squadra a lungo non sua, vittima di primedonne e pancia piena. Bravo Lucho, sempre: schiantatosi a Roma, ripresosi a Vigo e diventato immenso a casa sua.
Un unico, grande profeta in Patria. “Vorrei assomigliare a Pep e Simeone”, disse tempo fa. E forse anche un po’ Allegri, con cui condivide spirito e superba gestione del gruppo. Si accontenterà di essere Luis Enrique. Tra i più grandi, il faro.
Cristiano Corbo
This post was last modified on 11 Aprile 2017 - 13:39