O Juve, qui si parrà la tua vera nobilitate

È finalmente giunta l’ora: del calcio vero, quello che conta e si nutre di partite del genere, saziando allo stesso tempo chi ama questo gioco al punto di trascendere gli interessi di bandiera e/o di campanile. La prima sera in cui, dacché iniziò il viaggio verso Cardiff, distante adesso la miseria di quattro partite, ma lontanissima per la perigliosità delle selve oscure da attraversare, sarà davvero messo alla prova il valore effettivo di una creatura che in estate, con eccessiva faciloneria e disinvoltura, cortigiani e cacciatori di consenso d’accatto hanno dipinto come la miglior Juventus degli ultimi cinquant’anni.

O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, qui si parrà la tua nobilitate”. I versi appartengono al Sommo (Inferno – canto II), ma il pensiero retrostante ben si attaglia agli anelanti conferme o alla preghiera che il “tecnico” attualmente in carica rivolgerà a Eupalla invocandone aiuto, protezione e una generosa dose d’ispirazione che gli suggerisca come ovviare, o almeno mitigare, agli evidenti limiti tecnici, strutturali e organizzativi di una squadra assai di rado davvero convincente, a dispetto della supremazia esercitata in ambito peninsulare.

Attribuire alle sistematiche perplessità suscitate dalle prestazioni di Madama carattere di negatività, significa mortificare l’intelligenza di quanti le hanno osservate senza le lenti deformanti del tifo e pure di chi prova, con irritante superficialità e parimenti inopportuni richiami alle esibizioni circensi, a sviluppare un teorema zoppicante sin dal postulato, perché, brava gente, non è assolutamente vero che a un risultato positivo corrisponda automaticamente una buona prestazione; l’equivalenza è normalmente valida a parti invertite, a meno che…

A meno che non si disponga di individualità talmente talentuose da mascherare le deficienze generali. Quindi, poiché la caratura di un successo deve necessariamente essere tarata sul calibro della concorrenza, sarebbe restrittivo, fuorviante e illusorio, considerare certe dispute alla stregua di prove di forza, solo perché i riscontri numerici sono stati premianti.

A detto riguardo sono state estremamente illuminanti le recenti escursioni nella militarizzata Partenope. Ai confronti con il Barcellona dei piccoli si assegnavano i crismi di probante test da superare per accedere con fiducia e ottimismo all’esame condotto da quello originale; ebbene: al netto dei riflessi contabili, le risultanze scaturite dal rettangolo verde non hanno denunciato un grado di preparazione bastevole ad autorizzare spericolati voli pindarici.

Attendismo esasperato, speculazione sull’errore dell’avversario, lentezza nelle transizioni, superficialità nei disimpegni, scarsa prolificità realizzativa e financo la rinuncia a giocare, sono manchevolezze che il football continentale né ammette e né perdona; è un altro sport, una pratica che rovescia completamente il paradigma invalso nello stivale, cioè la strenua applicazione a non subire, anziché la volontà d’imporre. Oltre confine serve un cuore impavido, chi non osa, peraltro a ritmi alti, è perduto; altroché “halma” e pazienza…!

Premesso che la gara1 di un quarto di finale, a differenza di quanto affermano ripetutamente stolti d’ogni genere e specie, non può essere la rivincita di una finalissima; che le due formazioni, rispetto al 6 aprile berlinese del 2015 sono entrambe meno forti e che, ancora una volta, i catalani si gioveranno del pronostico a favore, i bianconeri non partiranno comunque battuti, ma le loro chances di ribaltare il vaticinio contrario non possono prescindere dall’abiura della solita forma mentis. Trattasi, in punta di fatto, della chiave di volta che catalizzerà le attenzioni non ottenebrate dalle situazioni contingenti.

Il Paris Saint-Germain, nel bene e nel male, ha illustrato all’universo mondo le modalità di assunzione della suzzacchera blaugrana; trattasi di una bevanda medicinale con zucchero e aceto che Madama dovrà saper addolcire al meglio già dalla prima seduta. Anche per confermare agli occasionali… sostenitori di Messi & C. che la regola del delubro non è un precetto unicamente territoriale, ma soprattutto perché, per il popolo zebrato, “Certe notti somigliano a un vizio, che non voglio smettere, smettere mai…” (Luciano Ligabue)

Dopodiché, per quanto sarebbe etico, sportivo e commendevole auspicare che vinca la squadra migliore, siccome il cuore conosce ragioni che la ragione non comprende, è normale che da un punto indefinito dello stesso sgorghino le stesse parole che Nereo Rocco, il paròn, profferì più volte alla vigilia di certe tenzoni: – “Ciò, speremo de no!”.

Augh.

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