Respiri a fondo, chiudi gli occhi: entri in campo. Ti guardi intorno, ricordi ogni singolo dettaglio di questo stadio. Ma non è più aria di casa: no, in fondo ai polmoni si mescola ossigeno e rancore. Quello duro, quello che una volta era amore.
Il peso della solitudine
C’è tutto questo nella notte di Gonzalo Higuaín. Che, forse, un po’ ci sperava: meno odio, più passione. Come quando rivedi la tua ex e… sì, su: ti stritola lo stomaco, ancora. Non vorresti, ma lo fa: e lo accetti. Sbatti contro la realtà.
Poi ti trovi solo.
Solo, Gonzalo. Davanti a tutti, lontano da tutto: pubblico, compagni, palla. Talmente solo che lo spazio per i pensieri è ingombrante. Anche se provi a scrollarteli da dosso, loro tornano lì. E ci rimangono e pesano: eccome se pesano.
Tutto così innaturale
Ventinove tocchi, meno di chiunque altro. E neanche una volta nell’area di rigore, il suo habitat.
Un solo tiro in porta, fine naturale: ma così dannatamente innaturale per lui. Innaturale come un mese senza reti e con poche opportunità, per di più. Innaturale per chi sente la rete scorrere nelle vene.
Forse ci sarà tornato con la mente, stasera. Forse ci sarà tornato troppe volte.
La solitudine è il luogo ideale per riflettere. Solitudine non è solo quando sei solo. No: la solitudine, drammaticamente vera, è quando sei solo al centro del mondo. Quando i gesti intorno a te perdono colore e senso.
La solitudine di Higuaín, nella sua vecchia dimensione, era assoluta.
Colpa anche dei suoi compagni, che non hanno saputo aiutarlo. Conseguenza di un atteggiamento tattico conservativo – giusto o sbagliato che sia.
Solo, Gonzalo
La solitudine di Gonzalo, tra decine di migliaia di cuori e cori, era ancora più densa. Era bagnata da una mistura di indifferenza, che ferisce più di tutto, e disprezzo.
Era quella che si leggeva, scritta nelle corse e negli occhi.
Le corse, quelle dannate verso il pallone: oggetto del desiderio, profumato dall’essenza della mancanza. Ci ha abituato, Higuaín, ma le rincorse a chi un anno fa esultava con lui avevano un’altra forza.
Negli occhi e nei movimenti, invece, si nascondeva quella voglia di gridare forte. Perché, sotto sotto, Gonzalo avrebbe voluto dirlo: ha dato tanto, forse troppo per non aver più un posto nel cuore di Napoli.
È una storia d’amore particolare, affascinante e maledetta. Una storia di passione trasformatasi nella storia di un uomo, solo tra gli altri e solo contro gli altri.
È finita così, stasera: uno sguardo malinconico che si è posato delicatamente sulla curva. È finita così, e basta. Ma la difficoltà più grande di una fine sta nell’accettarla. Da soli.